Popolarismo e populismo
A cento anni dall’appello ai “Liberi e forti” con il quale don Luigi Sturzo diede vita al Partito popolare italiano, sulla scena politica internazionale vanno crescendo le forze e i movimenti che rivendicano di essere interpreti del “popolo”. Dei possibili punti di contatto e differenze tra il popolarismo sturziano e il populismo dei giorni nostri ne abbiamo parlato con Giovanni Dessì, segretario generale dell’Istituto Luigi Sturzo
“Oggi, il permanere della crisi non fa altro che aggravare e assolutizzare le richieste individuali. Ma una politica che risponde solo alle istanze dei singoli difficilmente riesce a costruire qualcosa, perché è ricattata dal dover rispondere a queste richieste per funzioni elettorali. Di fronte a questa situazione, don Sturzo sceglierebbe una strada più in salita, che abbia a che fare con la formazione e l’educazione e non solo con la risposta immediata ad ogni presunto bisogno”. Ne è convinto il professor Giovanni Dessì, segretario generale dell’Istituto Luigi Sturzo e docente dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata che, nel centenario dell’appello ai “Liberi e forti”, ritorna sull’attualità dell’impegno politico del sacerdote calatino attraverso un confronto tra popolarismo e populismo.
Professore, ci sono punti di contatto tra l’attuale politica populista e il popolarismo sturziano o sono due visioni diametralmente opposte?
Innanzitutto va precisata la differenza di contesto storico nel quale è esistito il Partito popolare di Sturzo (1919-1926) e quello attuale in cui fioriscono i movimenti populisti. Poi, detto dell’analogia dovuta alla comune radice “popolo”, si evidenziano almeno tre differenze rilevanti tra popolarismo e populismo.
Quali?
La prima è che Sturzo vede la politica come espressione della libertà, quindi come espressione della fallibilità umana. Una concezione della politica non perfettistica né utopistica. Sturzo non direbbe mai che la sua è la politica della totale onestà e della assoluta verità. I termini “totale” e “assoluto” li riserverebbe a cose più serie, più impegnative. Poi
c’è una sostanziale differenza nell’idea di “popolo”, che per Sturzo non è una massa indistinta di individui, ma è la concreta articolazione della libertà dell’uomo nella società.
Che sono poi i cosiddetti gruppi intermedi: famiglia, associazioni, partiti… Per Sturzo, non ha senso parlare di popolo a prescindere dalle sue concrete determinazioni storiche. Infine, per Sturzo le istituzioni sono frutto della libertà dell’uomo che, ad un certo punto, si trova stretto nelle istituzioni che ha costruito e quindi ne crea altre. Questo non vuol dire assolutamente demonizzarle o ritenerle il male, anzi. Significa conferire un rispetto qualora anche dovessero essere cambiate.
In quali aspetti l’appello ai “Liberi e forti” può essere oggi argine ad una deriva populista della politica?
Tra i tanti temi affrontati in quel testo, il principale credo sia la richiesta di un impegno che non collima e non è solo in vista del soddisfacimento delle proprie pulsioni individuali.
L’appello alle persone “forti”, in grado di impegnarsi, è una chiamata alla responsabilità, non alla pulsione immediata.
Questa è una sfida grandissima perché, se ci fossero classi politiche in grado di richiamare alla responsabilità, cioè all’impegno – offrendo magari strumenti perché questo possa essere sostanziato in contenuti – forse potrebbe esserci una strada, certamente non immediata, per uscire da questo circolo vizioso nel quale la politica attuale si ritrova. Sturzo sceglierebbe una strada diversa da quella di una risposta immediata, anche se necessita di tempi lunghi. Perché questa è stata la sua esperienza: da cattolico intransigente ha dato vita a cooperative e associazioni, attività che gli hanno poi permesso di dire che il popolo poteva essere chiamato a responsabilità in una politica che poteva cambiare condizioni storiche concrete e consapevolezze degli individui.
Sturzo si è impegnato per una politica “resa nobile dalla finalità del bene comune”. Oggi sembra prevalere l’interesse di parte…
L’idea di bene comune strappa radicalmente da quella della politica come unica realtà nella quale far rifluire il proprio scontento o le proprie aspirazioni individuali. Perché dietro c’è la convinzione che ci si può salvare solo insieme. In tempi passati, una crisi spingeva ad una risposta tendenzialmente di gruppo; oggi, invece, più si aggrava la crisi, più paradossalmente sembra che le risposte siano frutto di umori e rancori individuali. Fino a pochi anni fa, senza voler enfatizzare il passato, le crisi permettevano di ritornare a focalizzare qualcosa che era interesse comune, oggi la crisi radicalizza le differenze. Allora
diventa necessario riformare un sentire comune per il quale si possa pensare che le crisi si superano se la nave sulla quale viaggiamo oltrepassa un momento tragico della navigazione.
È un compito educativo e formativo decisivo per la scuola, le università e per realtà come l’Istituto Sturzo.
Sturzo scriveva che “c’è chi pensa che la politica sia un’arte che si apprende senza preparazione, si esercita senza competenza, si attua con furberia”. Sono passati più di 60 anni ma sono temi quantomai attuali…
Da sacerdote, Sturzo pensava che l’uomo potesse realizzarsi nella propria libertà se realizzava un mondo più degno di essere vissuto. Un tratto modernissimo. È l’idea che conviene essere morali perché così si costruisce un mondo più degno di essere vissuto. Ma Sturzo non parlava soltanto di valori morali. In uno scritto del 1929 così si esprimeva: “Vorremmo avere politici al tempo stesso morali ed efficienti”. Una richiesta forte quella di Sturzo, che non contrapponeva alla capacità di scegliere strumenti e mezzi la convinzione che si può riempire il mondo di valori che lo rendano più vivibile.
Sturzo non avrebbe mai condotto una campagna elettorale al grido “Onestà, onestà!”;
perché era consapevole che il compito del politico è quello di affermare l’umanizzazione del mondo senza cadere nell’utopica convinzione che sia possibile creare l’assoluta moralità in una scelta, in un’azione, in un partito.
Nell’appello c’è un richiamo all’imprescindibile dovere di “trovare il reale equilibrio dei diritti nazionali con i supremi interessi internazionali e le perenni ragioni del pacifico progresso della società”. Come si sarebbe confrontato con le crescenti spinte sovraniste che attraversano il mondo?
Per Sturzo, quella del fascismo prima e della guerra poi sono state esperienze di un fenomeno che faceva della violenza uno dei fulcri della propria azione. Riteneva la violenza uno degli elementi essenziali dei totalitarismi e sosteneva che questi pensassero che il mondo non fosse reso più umano dall’affermazione dei valori condivisi ma della forza. Quando Sturzo sostiene la pace a livello internazionale non lo fa solo per uno schieramento intuitivamente facile ma perché convinto che le relazioni internazionali debbano essere sempre più orientate ad un nucleo di valori condivisi, consapevole che se anche questo nucleo non si sia ancora affermato è comunque irrinunciabile come criterio per l’agire politico.