Verso il 26 maggio
In che direzione si vuole cambiare l’Europa e a chi sarà affidato il compito di modificarla? La risposta, mai come in questa circostanza, è nelle nostre mani. Perché non si tratta solo di una tornata elettorale, ma di un appuntamento per difendere e preservare un patrimonio senza il quale tutti saremmo più poveri
Tra due domeniche – il prossimo 26 maggio – ci recheremo, per la nona volta, alle urne per eleggere il Parlamento europeo. Fu, infatti, nel 1979 che per la prima volta i cittadini europei elessero, a suffragio universale, i 751 parlamentari. Prima del 1979 il Parlamento europeo funzionava come un’assemblea consultiva – priva di poteri legislativi – composta da 78 parlamentari nominati dai parlamenti nazionali dei sei Stati fondatori (Belgio,Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi). Le elezioni europee non hanno mai suscitato un particolare interesse, a parte la prima elezione del 1979 alla quale si recò a votare il 62% degli elettori. In seguito si è registrata una sempre minore affluenza che, dal 50% del 1999, è scesa fino al 42,54% del 2014. Scarsa attenzione all’Europa o poca voglia di partecipazione, o tutt’e e due le cose insieme? Un comportamento, comunque, che contrasta con l’importanza che ha avuto in questi settant’anni l’Unione europea (Ue) e con quella che potrà avere per gli anni a venire. Pensata dai padri fondatori come uno Stato federale in grado di sostituirsi ai singoli Stati nazionali, l’Ue è stata realizzata sul principio della collaborazione fra i vari Stati, con il fine di arrivare ad una loro completa integrazione. Ognuno, però, mantenendo, la propria sovranità. Un’unione di Stati, quindi, uniti da molti obiettivi comuni, vincolati dal rispetto di talune regole volte a favorire il processo d’integrazione, ma con le “mani libere” su molte altre materie. Quando si dice, allora, che le nostre sorti dipendono in tutto dalla Comunità europea e che da essa derivano tutti i nostri mali, si consuma un’inesattezza. Anche perché, prima di tutto, dovremmo preoccuparci di funzionare in casa nostra. Magari gli affari dei singoli Stati potessero essere gestiti tutti in comune! Ci troveremmo di fronte ad un’Unione che fa della solidarietà e della condivisione il suo punto di forza. Invece, come stabiliscono i trattati europei, gli Stati sono vincolati tra loro soltanto su talune materie sulle quali l’Unione ha una competenza “esclusiva”: la libera circolazione delle merci, la politica monetaria, le regole della concorrenza. Norme tutte, poste a tutela e garanzia dei cittadini consumatori – secondo il “principio di precauzione” – e delle quali abbiamo, nel tempo, tutti fruito. Su altre materie – quali mercato interno, politiche sociali, sanità, trasporti, energia, sicurezza ed altre – l’Ue esercita una competenza“concorrente”, nel senso che i Paesi decidono laddove l’Unione non interviene. Ci sono, infine, materie – industria, cultura turismo e altre – sulle quali l’Unione esercita un’azione di sostegno alle politiche esercitate dai singoli Stati. Innegabili i vantaggi per gli Stati aderenti che, nel frattempo, dai sei iniziali, sono passati agli attuali ventotto, con l’inclusione – dopo il crollo del muro di Berlino – dei Paesi dell’est Europa. Spesso abbiamo sottovalutato tali benefici per sottolineare più gli svantaggi, o presunti tali, derivanti dalla nostra appartenenza all’Unione. Il riferimento è, in particolare, ai vincoli – ritenuti troppo onerosi – in materia di debito pubblico, deficit e inflazione, introdotti dal trattato di Maastricht del 1992. Ciò nonostante, alla vigilia di queste elezioni,si registra, sorprendentemente, un’inversione di tendenza. Nei cittadini, ma anche nei partiti antieuropeisti – fra i quali Lega e Cinque stelle, da sempre critici nei confronti dell’Unione – si avverte una maggiore attenzione nei confronti dell’Ue. Non si parla più né di uscire dall’Europa, né di referendum contro l’Euro, né di eliminazione dei vincoli. Frutto, anche, di una maggiore informazione e riflessione portata avanti specialmente da qualificati ambienti culturali, fra cui il mondo cattolico. Oggi, anche le forze populiste e sovraniste chiedono voti, non più per disgregare l’Unione europea, ma per cambiarla. La posta in gioco, infatti, oggi è in che direzione si vuole cambiare l’Europa e a chi sarà affidato il compito di modificarla. La risposta, mai come in questa circostanza, è nelle nostre mani. Perché non si tratta solo di una tornata elettorale, ma di un appuntamento per difendere e preservare un patrimonio senza il quale tutti saremmo più poveri.
(*) direttore de “La Vita diocesana” (Noto)