Beni culturali

Musei ecclesiastici: competenza e passione. Così vivono sul territorio in dialogo con la gente

Ai Musei vaticani una giornata di studio dedicata ai musei diocesani per “raccontarsi e conoscersi” perché dalla condivisione delle buone pratiche si possono trarre elementi di riferimento per “crescere insieme”. Testimonianze ed esperienze. L’importanza di professionalità e competenza. Il ruolo dei giovani

“Risorsa, presidio culturale sul territorio, strumento di identità e di narrazione delle persone e delle comunità”. Don Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Cei, traccia l’identikit degli oltre 800 musei ecclesiastici disseminati sul territorio nazionale, e sottolinea l’importanza di “fare tesoro dell’esperienza propria e altrui”. Perché solo dall’analisi e dalla condivisione di buone pratiche si possono trarre elementi di riferimento per “crescere insieme”. Ed è proprio questo “raccontarsi e ascoltarsi” l’obiettivo della giornata di studio “La Chiesa e i suoi musei. Identità, governance e politiche culturali”, che lo stesso Ufficio Cei ha promosso oggi 9 maggio presso i Musei vaticani che hanno collaborato alla realizzazione dell’evento.

Facendo gli onori di casa, Barbara Jatta, direttrice dei Musei del Papa, sottolinea la “comune missione” di “tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico e soprattutto di fede che ci è stato tramandato e dobbiamo consegnare alle generazioni future”. Cinque le esperienze sul territorio illustrate nella giornata. “Casi studio – spiega Andrea Nante dell’Ufficio Cei – selezionati tenendo conto di dimensione, posizione geografica, metodo di lavoro, attività svolta”.

In Calabria i musei diocesani si stanno muovendo verso “un sistema museale regionale efficiente e sostenibile”. Paolo Martino, ingegnere, spiega che la rete dei musei diocesani calabresi è “capace di relazionarsi in maniera propositiva con Regione, Polo museale regionale e rete dei Musei civici, privati e d’impresa presenti nel territorio”. Lucia Lojacono, direttrice del museo diocesano di Reggio Calabria, osserva: “Per la prima volta ci si sta muovendo dal basso in una condivisione di intenti tra associazioni e competenze professionali diverse per un sistema museale regionale efficiente e sostenibile che raggiunga i livelli di qualità minimi richiesti dal Sistema museale nazionale”.

È stato inaugurato a luglio 2018 e visitato ad oggi da più di mille persone. Si tratta del percorso espositivo “Tramandare il bello. Il recupero dell’identità culturale per una nuova sintonia con il creato” sviluppato ad Amatrice (diocesi di Rieti) dopo due anni dal terremoto. Ad illustrarlo è Pierluigi Pietrolucci, convinto che il patrimonio artistico e culturale sia “la testimonianza della memoria materiale e spirituale del territorio, che attiene all’identità della comunità locale”. Risorse cui attingere per “realizzare un processo di ricostruzione anzitutto delle relazioni umane, quindi del contesto materiale”. Di qui, con la collaborazione e il supporto del Mibac, l’esposizione che attraverso le più innovative applicazioni della comunicazione multimediale: realtà aumentata, virtuale e videomapping, permette nuovi modi di fruizione dei beni culturali e garantisce una visita dal carattere esperienziale e interattivo molto coinvolgente”. L’iniziativa nasce come anteprima della futura sede di Amatrice del museo diocesano che il vescovo Domenico Pompili ha promosso come progetto di rivitalizzazione del territorio.

La diocesi di Piacenza-Bobbio (418 parrocchie e oltre 650 edifici di culto con oltre 90mila oggetti censiti) ha avviato un progetto di valorizzazione, promozione e messa in rete del suo patrimonio culturale favorendo una gestione dal basso e sostenendo l’operato di giovani specializzati nel settore. Manuel Ferrari, architetto e direttore del museo diocesano, spiega che nel 2015 è stato realizzato il primo nucleo espositivo del museo della cattedrale di Piacenza, “ampliato a seguito di due importanti mostre nel 2017 e nel 2018, oggi integrato con un percorso di salita alla cupola affrescata dal Guercino”. Nel 2015 è stato allestito un nuovo museo di arte del ‘900 all’interno degli spazi dell’ex monastero di San Colombano a Bobbio. Parallelamente si è pensato a modalità di gestione efficaci e sostenibili: “Dal 2015 abbiamo avviato un comitato di scopo con soggetti ecclesiali e civili e sono state attivate collaborazioni stabili con altri enti sul territorio”.

Dalla fine del ‘400, ebrei e cattolici formano a Pitigliano un’unica comunità civile e Pitigliano diventa una “Città rifugio” tanto da essere denominata la Piccola Gerusalemme. A descriverla è Marco Monari, ricordando che dopo le leggi razziali i cattolici di Pitigliano protessero e nascosero, a rischio della propria vita, i concittadini ebrei. Quattro anni fa il vescovo ha voluto valorizzare queste radici. Di qui la nascita, ad opera di Elena Servi, fondatrice e presidente dell’associazione Piccola Gerusalemme, del progetto culturale Pitigliano-Gerusalemme per “progettare e realizzare occasioni di incontro, crescita culturale, religiosa e umana”. Tra le iniziative, il gemellaggio con il Patriarcato latino di Gerusalemme. Su invito della Farnesina, la diocesi ha aderito al progetto di dialogo tra i paesi del Mediterraneo

Al termine dei lavori di ristrutturazione del museo diocesano, nel 2010 la diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi ha scelto di scommettere su un gruppo di giovani che ne potessero garantire una gestione sostenibile e coerente con le sue finalità proprie, racconta Onofrio Grieco. Una cooperativa di laureati e professionisti della cultura da allora promuove, in sinergia con un direttore incaricato dal vescovo, la tutela e la conoscenza del patrimonio ecclesiastico. “Museo diocesano. Un luogo unico, un luogo di tutti” lo slogan che sintetizza l’ esperienza di

un museo che “interagisce con il mondo esterno, dialoga, vive”.

Alle esperienze si aggiunge, tra le altre testimonianze, una “avventura di chiesa” raccontata da mons. Giuseppe Satriano, arcivescovo di Rossano – Cariati, che parla di “opera segno che ha trasformato il museo diocesano in una Ferrari affidandolo a dei giovani competenti”. “Un “investimento per noi e per questi giovani” da cui “è nato il desiderio di aprire un cammino di vita”. Ristrutturando il museo, cura particolare è stata riservata alla stanza che doveva accogliere il Codex Purpureus Rossanensis. Oltre allo spazio espositivo (con attività per le scuole), un café e tre appartamentini bed & breakfast, “tutto gestito dai giovani per innestare un percorso inclusivo a partire dalle piaghe del territorio”.

“La nostra operazione – conclude – è lasciare attraverso il bello una traccia di spiritualità e umanità”.