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Droga. De Facci (presidente Cnca): “Oggi il rischio è la ‘normalizzazione'”

Il presidente del Cnca legge l’incidente mortale di sabato sera sulla A1 come risultato di comportamenti che rischiano di essere considerati “normali”, fa il punto sul consumo delle nuove sostanze e sulla loro diffusione tra adolescenti inconsapevoli dei rischi. Parola d’ordine prevenzione. Ma anche presenza nelle periferie abbandonate da tutti

Luigi Visconti, 39 anni, operatore sociosanitario, e Fausto Dal Moro, 36 anni, parrucchiere. Sono i protagonisti dello schianto mortale della notte di sabato scorso sulla A1 dopo la diretta Facebook in cui, visibilmente alterati, annunciavano “Andiamo a 220 all’ora” per raggiungere una discoteca a Rovigo dove avrebbero trovato “droga e altro”. Insospettabili. Ma per Riccardo De Facci, presidente del Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), sono lo specchio di una società in cui certi comportamenti, più diffusi di quanto non si creda, rischiano di essere considerati quasi “normali”. I numeri legati al consumo – talvolta all’abuso – di sostanze ci dicono che

siamo in una società a forte rischio di normalizzazione”

spiega al Sir che lo ha incontrato a margine del seminario “La strada diventa servizio. La riduzione del danno come diritto”, organizzato il 21 maggio a Roma per fare il punto sullo stato dei servizi di riduzione del danno (Rdd) in Italia nell’ambito del progetto “Pas – Principi attivi di salute”, promosso da Cnca (capofila), Coordinamento italiano case alloggio Hiv/Aids (Cica) e Arcigay. “Il rischio, soprattutto per quelli che hanno una certa età e da anni fanno surf tra le diverse tipologie di consumo, è che questa condotta sia considerata una delle componenti quasi normali di una serata un po’ alternativa. Oggi, soprattutto per quanto riguarda le nuove sostanze psicoattive (Nps) il consumo è trasversale in termini di età, ceto sociale, disponibilità economica, e la percezione del rischio è bassa sia a livello individuale sia a livello collettivo. Vi è un’enorme sottovalutazione del fenomeno”.

Quali i rischi di questo scenario in continua evoluzione?
I numeri sono forti: nelle scuole si parla di un quarto della popolazione giovanile che fa o ha fatto uso di cannabis. Significa che a 15-16 anni quel consumo è considerato quasi normale. Così come quello di alcol, in aumento esponenziale soprattutto fra i più piccoli, mixato ad energy drink che fanno sentire i giovanissimi più ‘prestazionali’. Una sorta di equilibrio tra interno – dove l’alcol è piacevole e fa sentire meglio – ed esterno – dove gli energy drink aiutano ad aumentare il livello di prestazione. Consumi legati al nostro modello di società “ad alta prestazione”.

I dati del Cnr parlano di un paese dei balocchi che cattura il 5% dei ragazzi, quelli più fragili…
Il nodo è che noi ormai rischiamo di pensare che il kit del divertimento tutto compreso includa anche la droga. Per questo noi operatori dobbiamo entrare in un ruolo di vicinanza diverso con quello che rischia di diventare una “normalità” difficilissima.

Come intervenire?
Già nelle sue linee guida del 2008 l’Ue definiva prevenzione, cura, riduzione del danno, repressione i quattro pilastri della lotta alla droga precisando tuttavia che non è possibile fare una scelta esclusiva di uno rispetto agli altri. In certi contesti e in certe fasce d’età occorre lavorare molto di più sugli aspetti della prevenzione.

E’ ora di riscrivere un grande piano nazionale di prevenzione nelle scuole

da parte dei soggetti istituzionali – ministero della Salute, ministero dell’Istruzione, Dipartimento politiche antidroga – insieme a tutti gli addetti ai lavori mettendo insieme le diverse competenze.

In concreto su che cosa dovrebbe fondarsi la prevenzione?
Deve essere finalizzata a costruire strumenti individuali di autotutela attraverso la consapevolezza dei rischi. Non sono d’accordo con chi ritiene utile parlare di droga fin dalle elementari con il rischio di creare curiosità e attrazione. Occorre piuttosto che il sistema scolastico inizi a ragionare sui cosiddetti life skills necessari alla crescita integrale della persona e al rafforzamento della sua identità: capacità relazionali, senso critico, creatività, flessibilità, aspetti del carattere e apertura alla realtà.

Dobbiamo offrire ai ragazzi strumenti adeguati a gestire il grande sì o il grande no di fronte alla sfida delle sostanze, di Internet o della guida pericolosa.

Nella consapevolezza che la trasgressione non possiamo escluderla: per molti adolescenti fa parte del processo di crescita. Se non ci facciamo carico di questo modello di società rischiamo di essere evocatori di principi e di valori, ma lontani dalla realtà.

Il tema della trasgressione adolescenziale interpella ogni educatore. Come affrontarlo?
Chiedendosi come accompagnare questi giovani inconsapevoli. Non certo con la logica dell’allarme o della rigidezza di giudizio. Ne discutiamo spesso con molti sacerdoti, ad esempio dell’oratorio: il dodicenne-tredicenne che inizia essere un po’ trasgressivo va allontanato per evitare che ‘contagi’ i più piccoli o va seguito, coinvolto, responsabilizzato sapendo che la trasgressione sarà per lui un inevitabile momento di crescita? Ci confrontiamo anche sulla necessità di una riscrittura di valori: del valore del sé, delle relazioni con l’altro, del divertimento sano e pulito, di una vita bella. I giovani guardano all’avvenire come ad un orizzonte preoccupante. Non dobbiamo lasciarli soli ma dare loro un orientamento e una prospettiva, aiutarli nella fatica di crescere facendo lor capire che diventare grandi è un rischio ma è anche bello.

Ritornando al tema del seminario, la riduzione del danno, con quale spirito vive questo impegno?
Per me si inserisce nella cultura della prossimità. Da “laico spirituale” in confronto con il mondo cattolico, penso che dovremmo avere la capacità di stare lì dove il bisogno chiama. In questa società ci saranno sempre più persone non più in grado di chiedere aiuto: chi vive in situazione di grande marginalità, l’immigrato illegale, il tossicodipendente di Rogoredo (la piazza di spaccio più grande d’Europa nell’area sud est di Milano, ndr).

Vogliamo continuare a stare in quegli angoli della città dove nessuno arriva.

Non si può non vedere, non esserci. Lo sguardo e il bisogno della persona vanno ben oltre il mio giudizio morale.