Verso il 26 maggio
Nella settimana in cui centinaia di milioni di cittadini comunitari sono chiamati a rinnovare la composizione dell’Europarlamento, giungono le parole del card. Bassetti, presidente Cei, che aiutano a far luce sulla assoluta rilevanza del voto. “Dobbiamo essere fino in fondo italiani – convinti, generosi, solidali, rispettosi delle norme – perché anche l’Europa sia un po’ più italiana”. Si tratta di vincere paure e deboli atteggiamenti populisti e nazionalisti per guardare con lucidità al futuro del Paese e del continente
Cosa ci aspettiamo dall’Europa? Cosa abbiamo da dare all’Europa? Si può sviluppare su questa duplice linea una riflessione in vista delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, che fra il 23 e il 26 maggio si svolgono nei 28 Paesi membri dell’Ue.
È fuori discussione il fatto che questo appuntamento con le urne europee sia più sentito del passato. Si va infatti diffondendo, progressivamente, la (giusta) convinzione che fra Strasburgo e Bruxelles si gioca una parte significativa della nostra vita quotidiana. L’Unione europea infatti è fonte di direttive e regolamenti che diventano leggi per tutti i 500 milioni di cittadini europei; nelle sedi delle istituzioni comunitarie si sviluppano e finanziano programmi e investimenti nei più diversi ambiti dell’economia, della sicurezza, della cultura, della solidarietà, della tutela dei diritti, della salute pubblica, della protezione dei consumatori, dell’ambiente…
Ma mentre ci rendiamo conto che questa Ue, concreta, è parte della nostra esistenza, comprendiamo che occorrono delle riforme per rendere la stessa Unione più efficace, maggiormente capace di produrre risultati a favore dei cittadini, “vicina” agli stessi cittadini.Eppure le riforme latitano, e s’impongono altri fattori che giocano a svantaggio dell’integrazione. Anzitutto la “narrazione” dell’Europa non è, da parte dei media e dei social, affatto puntuale e veritiera; anzi in molti casi assistiamo a una moltiplicazione di fake news o mezze verità che creano solo disinformazione. In secondo luogo non si può tacere che ampia parte degli attuali leader politici presenti sulla scena continentale anziché discutere, formulare e realizzare le invocate riforme dell’Ue, preferiscono addossare a un’“Europa” indistinta, lontana e matrigna il peso di tutte le colpe, trovandovi il capro espiatorio delle proprie mancanze, incapacità e irresponsabilità (“ce lo chiede l’Europa…”). Così
media e politici alimentano un diffuso senso di euroscetticismo
che, nella peggior deriva, prende la strada del nazionalismo, delle chiusure, dei muri.
L’Europa comunitaria, quella ideata e avviata dai “padri fondatori” sulle ceneri della guerra mondiale, che aveva – e mantiene – per obiettivi pace, democrazia, diritti e sviluppo, ha dunque un futuro? E, più immediatamente, vale la pena votare per l’Europarlamento? La risposta sta nella storia, che ci consegna 70 anni di oggettivi risultati ottenuti anche grazie alla Comunità; ma soprattutto sta nel futuro, se ci si rende conto che in un mondo globalizzato e abitato da attori protagonisti del calibro di Usa, Cina, Giappone, Russia, Corea, Brasile o Sudafrica, gli Stati europei presi singolarmente sostanzialmente non conterebbero nulla. Diritti umani, cambiamento climatico, migrazioni, digitalizzazione, economia sostenibile, energia, finanza, lotta al terrorismo: sono tutti settori nei quali si rendono necessarie regole su scala internazionale e politiche proiettate in avanti, dove l’Unione europea, “potenza civile”, può essere un soggetto innovativo e propulsivo.
Per far questo, occorre tornare alle domande iniziali: a cosa serve l’Ue? Cosa abbiamo da dare, come singoli, come popoli, a questa Europa? Le parole espresse martedì 21 maggio dal card. Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, introducendo l’Assemblea generale dei vescovi, sono illuminanti. “È vero che oggi l’Europa è sentita come distante e autoreferenziale”, afferma il porporato, “su cui soffiano populismi e sovranismi. Lasciatemi, però, dire – forse un po’ provocatoriamente – che il problema non è innanzitutto l’Europa, bensì l’Italia, nella nostra fatica a vivere la nazione come comunità politica”. Nel passaggio successivo Bassetti specifica: “Oggi, noi italiani, cosa abbiamo ancora da offrire? Penso alle nostre virtù, prima fra tutte l’accoglienza; penso a una tradizione educativa straordinaria, a uno spirito di umanità che non ha eguali; penso alla densità storica, culturale e religiosa di cui siamo eredi. Attenzione, però: non si vive di ricordi, di richiami a tradizioni e simboli religiosi o di forme di comportamento esteriori”.
In Europa, dice il presidente Cei, si può essere protagonisti o ruote di scorta: gli italiani dove si collocano? Bassetti aggiunge: “Il nostro è un patrimonio che va rivitalizzato, anche per consentirci di portare più Italia in Europa. Dobbiamo essere fino in fondo italiani – convinti, generosi, solidali, rispettosi delle norme – perché anche l’Europa sia un po’ più italiana. Dobbiamo essere fieri – sia detto senza alcuna presunzione – di un cristianesimo che ha disegnato il continente con il suo contributo di spiritualità e cultura, di arte e dottrina sociale. Di umanesimo concreto”.
“Come italiani dovremmo essere il volto migliore dell’Europa”.
Bassetti di fatto sposta la questione-Europa a una questione nazionale, interrogando gli italiani – e, per estensione, anche tedeschi, francesi, portoghesi, ciprioti o lituani – sul senso della democrazia e sulla capacità di contribuire, insieme, a costruire una comunità (cittadina, regionale, nazionale, europea, mondiale) libera, equa, moderna, utile, accogliente, attenta agli ultimi.
Il messaggio di Bassetti, in piena linea con quello di Papa Francesco, si chiude con un invito caloroso: “Con questa prospettiva, va valorizzata l’opportunità che ci è offerta dalle elezioni di domenica prossima: chiediamo a tutti di superare riserve e sfiducia e di partecipare al voto. Siamo consapevoli che questo rimane solo il primo passo, ma è un passo che non ci è dato di disertare”.