Giornata mondiale

Giochi, sport e disabilità. Albano (Agia): “Diritto di tutti e via di inclusione”. Le storie “positive” di Alma e di Marco

Il 28 maggio si celebra la Giornata mondiale del gioco, per la quale l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ha lanciato l’invito a far giocare tutti insieme, con laboratori di gioco e/o di lettura ad alta voce per bambini e ragazzi con disabilità insieme agli altri coetanei: “Giocare tutti, nessuno escluso”. L’occasione per lanciare l’iniziativa è stata data dalla presentazione del documento di studio e proposta dell’Agia “Il diritto al gioco e allo sport dei bambini e dei ragazzi con disabilità”, nel quale si mettono in luce alcune carenze nel nostro Paese: in Italia sono solo 234 i parchi gioco inclusivi, concentrati prevalentemente al Centro Nord e spesso non accessibili ai ragazzi con disabilità intellettiva o con disturbi dello spettro autistico. Manca una legge che renda effettivo il diritto al gioco e allo sport per tutti i minore, quelli con disabilità compresi. Servirebbero, inoltre, risorse economiche adeguate per supportare progetti e servizi locali come ludoteche, ludobus, giochi nei quartieri e consentire la riappropriazione degli spazi pubblici urbani senza barriere

Il 28 maggio si celebra la “Giornata mondiale del gioco”. Per l’occasione l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia) ha lanciato “Giocare tutti, nessuno escluso”, un invito a far giocare insieme tutti. Si tratta di un’iniziativa rivolta a tutti coloro che, per la Giornata mondiale, organizzeranno laboratori di gioco e/o di lettura ad alta voce per bambini e ragazzi con disabilità insieme agli altri coetanei. L’invito è stato lanciato il 9 maggio in occasione della presentazione del documento di studio e proposta dell’Agia “Il diritto al gioco e allo sport dei bambini e dei ragazzi con disabilità”. “Trattare di diritto al gioco e allo sport dei bambini e dei ragazzi con disabilità – dice la garante, Filomena Albano – significa porre in rilievo che il gioco e lo sport sono diritti di tutti i bambini e che per tutti occorre garantire pari opportunità di fruizione e di accesso, attraverso interventi capaci di bilanciare principi generali con principi di specificità e personalizzazione”. In Italia sono solo 234 i parchi gioco inclusivi, concentrati prevalentemente al Centro Nord e spesso non accessibili ai ragazzi con disabilità intellettiva o con disturbi dello spettro autistico. Manca una legge che renda effettivo il diritto al gioco e allo sport per tutte le persone di minore età, quelle con disabilità comprese. Servirebbero, inoltre, risorse economiche adeguate per supportare progetti e servizi locali come ludoteche, ludobus, giochi nei quartieri e consentire la riappropriazione degli spazi pubblici urbani senza barriere: è quanto emerge dal documento di studio e proposta dell’Agia.

Il gioco come terapia. Alma ha cinque anni e ha disturbi dello spettro autistico. Con i genitori Matteo Zaccone e Tatiana Primadei, 38 anni entrambi, originari di Roma, e la sorellina Mira, di 3 anni, vive a Formello. Il gioco è lo strumento attraverso il quale terapisti e genitori la aiutano a rapportarsi con gli altri. “Abbiamo iniziato ad avere dei sospetti quando aveva 15/18 mesi, ma solo intorno ai due anni abbiamo avuto la diagnosi di autismo – ricorda Tatiana -. Siamo venuti a conoscenza del centro di riabilitazione di Viterbo convenzionato, dove adottano il metodo cognitivo comportamentale per approcciare pazienti con questi problemi (Aba). L’aspetto fondamentale della terapia è il gioco: infatti,

il gioco diventa una via di apprendimento.

Certamente, è un gioco strutturato, non spontaneo, s’insegna a giocare in modo tipico”. Alma ama correre, fare i salti, andare in bici. “Abbiamo pensato, perciò, di fare un altro passo – prosegue la mamma -. Se nelle ore di terapia le insegniamo a giocare con gli altri, abbiamo pensato che sia giusto nel tempo libero insegnare agli altri a giocare come piace a lei in modo che il gioco come le viene naturale possa diventare un momento di divertimento e di condivisione con i pari. Abbiamo notato che in questo modo Alma è più felice ed è più facile per lei relazionarsi con i pari, la sorellina o gli altri bimbi. Ad Alma piace tantissimo saltare: a casa le abbiamo comprato molle a cerchio di tutte le dimensioni. La bimba entra nel cerchio e inizia a saltare: se c’è un bimbo gli facciamo dare le manine ad Alma e iniziano saltare insieme. A lei piacciono tanto le canzoncine dello Zecchino d’oro: noi cantiamo, Alma è attirata e chiediamo anche al bimbo di cantare, così mia figlia fissa il suo sguardo verso il piccolo. A lei, poi, piace tanto essere rincorsa, in questo gioco inseriamo altri bimbi, sempre con la mediazione di un adulto”.

La pappagallina Lola. I coniugi Zaccone hanno aperto nel 2017 un’associazione: “Serenamente” onlus, che offre un servizio di post scuola per pochi bimbi, che offre ad Alma l’opportunità di stare con qualche pari e agli altri bambini di essere impegnati fino alle 18 e non alle 16, rispondendo alle esigenze lavorative dei genitori. A scuola sono stati promossi eventi di sensibilizzazione e formazione per le maestre. La mamma di Alma confida:

“Il nostro progetto più grande è realizzare una ludoteca inclusiva e sensoriale.

Adesso stiamo lavorando a una raccolta fondi tramite un progetto dei Bambini delle fate, un’impresa sociale di Castelfranco Veneto. Mi auguro di riuscire ad aprire la ludoteca entro il prossimo anno. Abbiamo bisogno di 100 donatori, siamo arrivati a 72/73”. Tatiana ha anche dato alle stampe una favola scritta per spiegare alla figlia più piccola cos’è l’autismo: “La pappagallina Lola e lo spettro magico” è il titolo del libro illustrato, in uscita a maggio.

“Giovani e Tenaci”. Marco Ferraro, 17 anni, frequenta il terzo anno del liceo classico. È disabile dalla nascita per una malattia congenita rara che in Italia colpisce un bambino ogni 1500 nati, la spina bifida. “Da febbraio 2017 gioco a pallacanestro nella squadra dei Giovani e Tenaci – racconta -. Prima di iniziare il basket giocavo a tennis in un campo vicino casa, dove mi allenavo con altri ragazzi normodotati. La carrozzina era da passeggio e facevo una gran fatica. Dopo due anni ho deciso di smettere e di mettermi alla ricerca di un altro sport, possibilmente di squadra. In questo modo sono approdato al basket”, grazie al quale, aggiunge, “sono diventato meno timido, più sicuro di me, più determinato a portare a termine i miei obiettivi. Esco di più, affronto le persone senza timore e anche il mio percorso scolastico è migliorato”. Con i Giovani e Tenaci “siamo una squadra molto unita, che cresce di anno in anno. Ci alleniamo due volte a settimana nella palestra della Fondazione Santa Lucia e partecipiamo al Campionato italiano giovanile. Per due anni consecutivi ci siamo qualificati alle Final four assieme a squadre con storie molto più importanti della nostra.

Durante gli allenamenti ciascuno di noi dà il meglio di sé,

per cercare di raggiungere gli obiettivi che ci prefiggiamo ad inizio anno. C’è una forte unità sia in campo che fuori, alimentata: anche dalla bravura dal nostro coach, Stefano Rossetti, molto esigente e perfezionista, che lavora per tirar fuori il meglio da ognuno di noi”.

Sport di squadra. Da quando ha iniziato questo percorso Marco sente “di aver fatto buoni progressi, pur essendo cosciente di essere solo all’inizio”. “Far parte della squadra non vuol dire solo fatica ma anche divertimento – ammette -. Quando si va in trasferta si viaggia tutti insieme e a volte si soggiorna in albergo.

Si incontrano molti ragazzi della nostra età, tutti in sedia a rotelle e tutti che si sentono importanti”.

“Da grande – conclude – vorrei diventare un medico e sto studiando molto fin da ora per realizzare questo sogno. Non è sempre facile conciliare lo sport con lo studio ma, nella vita, se le cose si fanno con piacere e se servono per costruire il proprio futuro non sono più un peso. A un ragazzo disabile della mia età, che sta sempre chiuso in casa, consiglio di uscire, di non dare importanza alle persone che lo prendono in giro e soprattutto di praticare uno sport di squadra, perché permette di socializzare, di acquistare sicurezza e di imparare a contare sull’aiuto dei propri compagni, che nei momenti di difficoltà ci sono sempre”.