Analisi
I capi di Stato e di governo riuniti il 28 maggio a Bruxelles hanno valutato i risultati delle elezioni e discusso sulla definizione delle principali cariche – i top job – dell’Unione. Secondo il presidente del Consiglio europeo la “casa comune” si rafforza con il voto popolare e dietro lo spauracchio del disastroso Brexit. Manca invece una riflessione approfondita sull’avanzata sovranista in alcuni Paesi
Vista con gli occhi di Donald Tusk l’Unione europea è in buona salute: alle elezioni per l’Europarlamento è tornata a lievitare l’affluenza alle urne (un cittadino su due ha votato); le forze sovraniste sono cresciute, ma non rappresentano alcuna “valanga”, sono distribuite a macchia di leopardo e soprattutto sono divise tra loro; non da ultimo, Brexit “è stato un vaccino contro la propaganda anti-Ue e le notizie false” e, di fatto, nessuno parla più di lasciare la “casa comune” e neppure di abbatterla. I nazionalisti – lascia intendere – usano slogan roboanti ma poi, alla fine, non hanno progetti alternativi. Così, chiudendo il summit straordinario tenutosi il 28 maggio sera a Bruxelles, il polacco Tusk, presidente del Consiglio europeo, ha tracciato un suo personale bilancio delle elezioni del 23-26 maggio, cominciando a guardare avanti per l’Europa del futuro. “L’Europa – dice, a quanto pare convinto – è il vincitore di queste elezioni. La maggioranza degli elettori ha votato per una Unione più efficace e ha rigettato chi voleva un’Europa più debole”.
Chi conta e chi non conta. “Stasera i leader dell’Ue si sono incontrati per valutare l’esito delle elezioni europee e discutere il significato di questi risultati, nonché per avviare le procedure per la nomina dei nuovi responsabili delle istituzioni europee”. Così si è espresso Tusk al termine della breve riunione con i capi di Stato e di governo dei 28. Si è detto soddisfatto per l’affluenza ai seggi, “la più alta degli ultimi 25 anni.
Ciò dimostra che l’Ue è una democrazia forte e paneuropea
di cui i cittadini si prendono cura. Chiunque guiderà le istituzioni europee, avrà un vero mandato dalla gente”. Allo stesso tempo, ha riconosciuto, “avremo un Parlamento un po’ più complesso”, che richiederà la convergenza di almeno tre o quattro forze politiche per avere una maggioranza: evidente il riferimento a popolari, socialdemocratici, liberali e verdi. Le forze sovraniste, spalmate in almeno due o tre gruppi a Strasburgo (fra cui siederà la maggioranza degli eurodeputati eletti in Italia), resteranno molto probabilmente fuori dalla partita delle nomine e delle grandi decisioni.
Sotto osservazione. Le analisi di Tusk talvolta lasciano un po’ perplessi: l’eccesso di ottimismo a volte pare fuori luogo. Afferma ad esempio: “Di fatto, dal momento che le persone sono diventate più europeiste, alcuni importanti partiti euroscettici hanno abbandonato i loro slogan anti-Ue e si sono presentati come riformatori dell’Ue”. Vera la seconda parte della frase, tutta da verificare la prima parte. Poi aggiunge: “Non ho dubbi che uno dei motivi per cui le persone del continente hanno votato a favore della maggioranza europea è anche il Brexit”. Mentre “gli europei vedono cosa significa Brexit nella pratica, traggono anche delle conclusioni”. Qui Tusk non sbaglia. Semmai si impone una maggiore riflessione sul fatto che un’avanzata dei sovranisti ci sia stata. E che in alcuni Paesi i partiti nazionalisti abbiano la maggioranza relativa o siano al governo: i “casi” di Italia, Ungheria, Francia, Repubblica Ceca, Polonia, e non solo, al summit erano sotto osservazione.
Italia in arretramento? A proposito del tema del giorno, ovvero la discussione sulle prossime cariche Ue, Tusk ha fatto intendere che è tutto in alto mare. Si tratta di decidere i presidenti di Commissione (al posto di Juncker), Consiglio europeo (la carica ricoperta appunto da Tusk), della Bce (Draghi è in uscita) e di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. Inoltre va rinnovato l’intero collegio dei commissari, che dovrà entrare in carica l’1 novembre.
La partita si gioca tra le cancellerie e il Parlamento
che deve votare la fiducia al presidente della Commissione e all’esecutivo nel suo insieme. Parlamento che, a sua volta, il 2 luglio dovrà votare il presidente dell’assemblea, carica finora ricoperta da Tajani. La partita è rilevante e purtroppo si profila un deciso arretramento per Roma che finora contava su tre dei cinque “top job” con Draghi, Tajani e Mogherini.
Braccio di ferro. La discussione, a porte chiuse, in Consiglio europeo ieri sera ha visto un confronto a tutto campo e un braccio di ferro, che nessuno ha negato, tra Merkel e Macron, sul nome del presidente della Commissione. Per questa carica sarebbe in vigore la prassi degli spietzenkandidaten (ovvero “candidati principali”), cioè i nomi proposti dalle famiglie politiche europee, la più votata delle quali dovrebbe esprimere il successore di Juncker. Ma si tratta di una pratica sostenuta dalla maggioranza, non dalla totalità, dei gruppi presenti al Parlamento europeo. Così Manfred Weber, spietzenkandidat del Partito popolare, il più votato per Strasburgo e sostenuto dalla cancelliera tedesca, non è affatto certo di assurgere al ruolo di presidente della Commissione. Il presidente francese preferirebbe un altro nome, magari una donna, Margrethe Vestager, che guarda a caso è in quota liberale, il gruppo nel quale convergono i deputati francesi eletti nella lista Renaissance di ispirazione macroniana.
Criteri ed equilibri. Insomma, come spiega Tusk, “in conformità con i trattati non può esserci alcuna automaticità e allo stesso tempo nessuno può essere escluso”. Anche perché nella distribuzione dei top job occorre considerare vari criteri e gli equilibri fra partiti politici, fra Stati (più o meno grandi), di genere (Tusk vedrebbe bene almeno due cariche assegnate a figure femminili). Il politico polacco aggiunge: “il futuro presidente della Commissione deve avere il sostegno sia della maggioranza qualificata nel Consiglio europeo sia nella maggioranza dei deputati al Parlamento europeo”. Si riparte da qui. “Effettuerò ora consultazioni con il Parlamento, come previsto dal trattato. Per avviare questo processo mi sono già offerto di incontrare la Conferenza dei presidenti del Parlamento europeo non appena saranno pronti. Parallelamente, continuerò anche le mie consultazioni con i membri del Consiglio europeo sia sul futuro presidente della Commissione che sul futuro presidente del Consiglio europeo e della Banca centrale, nonché sull’Alto rappresentante. Posso promettere che sarò il più aperto e trasparente possibile”.
Principi e persone. All’inizio del Consiglio europeo era toccato al presidente uscente del Parlamento Ue, Antonio Tajani, portare la voce dell’assemblea: “Ho illustrato al Consiglio la posizione del Parlamento sulla procedura da seguire per la scelta del nuovo presidente della Commissione” per “mandato ricevuto dalla conferenza dei presidenti dei gruppi politici”. “Ho ribadito agli Stati membri che il Parlamento è a favore della procedura degli spitzenkandidaten” perché “è democratica”: chi “si è presentato agli elettori con il proprio volto per guidare la Commissione e ha avuto il consenso dai propri cittadini deve essere presidente”. Infine: “Sappiamo che alcuni capi di governo hanno detto che a loro non piace questa strategia. È una posizione. Noi siamo a favore”. Perché “non parliamo di persone ma di principi, di più democrazia e di maggiore rispetto della volontà dei cittadini”.