Intervista

Danimarca alle urne, il vento sta cambiando. I migranti non spaventano più, clima in primo piano

Domani i danesi saranno chiamati alle urne a soli dieci giorni dal voto europeo. Jeppe Duva, caporedattore del Kristeligt Dagblad, quotidiano di ispirazione cristiana, spiega gli “umori” del Paese, le forze politiche in campo, il possibile arretramento del centrodestra che finora ha governato a Copenaghen. Anche il Brexit ha fatto la sua parte…

Copenaghen: la sede del Parlamento danese. Sotto, il premier uscente Lars Løkke Rasmussen e il giornalista Jeppe Duvå

La Danimarca torna alle urne mercoledì 5 giugno per rinnovare il proprio Parlamento. Alle recenti elezioni europee, la Danimarca ha sorpreso l’Europa con un’affluenza del 66% (tanti danesi così non erano mai andati alle urne per una elezione Ue) e un voto che ha segnato la vittoria del partito Venstre (liberali moderati, 23,5%) e dei Socialdemocratici (21,48%) e un crollo del Partito popolare danese, sceso a poco oltre il 10% dei consensi, mentre alle elezioni parlamentari del 2015 era risultato il secondo partito con il 21,1% dei voti. Alla vigilia delle elezioni, il Sir ha intervistato Jeppe Duva, caporedattore del Kristeligt Dagblad, quotidiano di ispirazione cristiana.

Anzitutto una curiosità. Perché in Danimarca non si sono svolte in contemporanea le elezioni per il Parlamento europeo e per quello nazionale?
Il vero motivo è una questione tattica da parte del primo ministro in carica, Lars Løkke Rasmussen. Il suo partito porta il nome Venstre, che significa Sinistra, anche se da quattro o cinque generazioni è considerato un partito di centrodestra. Prima che Rasmussen il 7 maggio convocasse le elezioni generali – che si svolgeranno appunto domani – la maggior parte degli analisti si attendeva che indicesse le elezioni legislative nella stessa data di quelle per il Parlamento europeo, cioè il 26 maggio. Secondo la legge danese, l’ultima data utile per le elezioni sarebbe stata il 17 giugno. Quindi sembrava ragionevole unire le due votazioni nello stesso giorno. Ma il premier ha scelto, evidentemente, di puntare sulla possibilità che una campagna elettorale prolungata aumenti le chances del suo blocco politico. Rasmussen in passato si è dimostrato bravo nel reggere campagne di lungo periodo. Adesso però si starebbero registrando cambiamenti dell’ultimo minuto nell’umore degli elettori, che segnerebbero il fallimento delle sue tattiche. Diversi sondaggi sono concordi nel dire che mercoledì il centrodestra subirebbe una sconfitta relativamente pesante.

Che atmosfera c’è nel Paese, dopo i risultati delle europee?
Il partito di Lars Løkke Rasmussen ha avuto un risultato sorprendentemente buono il 26 maggio, ma questo pare non servirà a salvare la sua coalizione nelle elezioni generali. La maggior parte dei commentatori ha registrato negli ultimi giorni l’inizio di un clima di disfattismo tra i partiti di centrodestra che negli ultimi quattro anni hanno sostenuto la maggioranza parlamentare attorno a Rasmussen. Si potrebbe parlare di “tristezza” sia all’interno di Venstre sia negli altri partiti di centrodestra. In questi giorni, il principale partito di opposizione, il partito socialdemocratico, e i partiti di centrosinistra più piccoli stanno trattenendo il fiato per non far capovolgere la barca ed erodere quella che i sondaggi danno come loro futura guida politica del Paese.

Attorno a quali temi si è giocata la campagna elettorale?
Il clima è diventato un elemento nuovo e molto determinante nella politica danese. L’economia danese è molto buona al momento, la disoccupazione pressoché vicina allo zero. Ciò potrebbe in parte spiegare perché la questione ambientale è stata così dominante. Inoltre nessuno ha avuto voglia di parlare di questioni più pratiche come tagli e pensioni o riforme del mercato del lavoro. L’immigrazione è stato un altro tema dominante, ma questa volta è risultato meno efficace per i partiti di centrodestra, dal momento che il principale partito di opposizione, il partito socialdemocratico, ha adottato un atteggiamento restrittivo nei confronti dell’immigrazione e quindi ha neutralizzato tale questione divisiva.

Come spiega il coinvolgimento senza precedenti dei danesi alle elezioni europee?
Molto probabilmente la ragione è stata il Brexit, che ha suscitato un interesse molto più vivo nella partecipazione della Danimarca all’Ue. Inoltre, l’enorme affluenza del 66% degli elettori potrebbe essere dovuta al fatto che la campagna in corso per le elezioni generali ha migliorato la consapevolezza politica generale dei danesi.

Sono previste sorprese in relazione al partito nazionalista: meno voti alle elezioni europee implica che ne avranno anche meno domani o il risultato potrebbe essere diverso?
I sondaggi parlano di una pesante perdita di voti per il Partito popolare danese, spesso descritto come partito nazionalista o populista, che nelle elezioni del 2015 aveva ottenuto il sostegno totalmente inaspettato di un quinto dei votanti nel Paese. Il motivo è probabilmente duplice: il partito non ha più il monopolio nel difendere un atteggiamento restrittivo nei confronti dell’immigrazione e dell’islam in Danimarca. Allo stesso tempo, il Partito popolare danese ha subito una pressione da destra: due partiti più duri verso l’immigrazione e più scettici sull’islam sembrano raccogliere il sostegno del 3-5% circa dell’elettorato, come indicano molti sondaggi.