Gaming disorder
L’Oms ha inserito ufficialmente questo tipo di dipendenza tra le patologie mentali. Infatti, le attività da ludiche diventano prioritarie rispetto a qualsiasi altro interesse, spiega la psicologa e psicoterapeuta. Anche in Italia “verosimilmente – afferma la presidente onoraria di Azzardo e Nuove Dipendenze – dovranno essere strutturati dei servizi appositi per la presa in carico dei soggetti problematici e sarà da prevedere un iter per l’inserimento di una nuova patologia nei Lea. In parallelo, potranno essere previsti programmi di prevenzione”
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha inserito la dipendenza da videogiochi (online e offline) tra le patologie mentali dell’International Classification of Diseases, l’elenco ufficiale delle malattie riconosciute il cui aggiornamento è stato pubblicato di recente. Ne parliamo con la psicologa e psicoterapeuta Daniela Capitanucci, presidente onorario di And-Azzardo e Nuove Dipendenze.
Cos’è il gaming disorder?
Con questo termine si intende
la perdita di controllo su attività quali digital-gaming o video gaming che da ludiche diventano prioritarie rispetto a qualsiasi altro interesse,
causando effetti negativi e, ciò nonostante, il giocatore non riesce a fermarsi.
È una dipendenza che colpisce quali fasce d’età?
Colpisce maggiormente bambini e giovani, ma anche gli adulti possono esserne affetti.
Questa decisione dell’Oms quali ricadute concrete avrà in Italia?
Verosimilmente dovranno essere strutturati dei servizi appositi per la presa in carico dei soggetti problematici e sarà da prevedere un iter per l’inserimento di una nuova patologia nei Lea. In parallelo, potranno essere previsti programmi di prevenzione.
Quali sono i segnali che devono preoccupare i familiari?
Sono quelli tipici di altre dipendenze comportamentali: tra questi, focalizzarsi solo sul gioco a scapito di altre attività anche vitali come mangiare e dormire, sperimentare irritazione e alterazioni dell’umore quando si interrompe il gioco, incrementare progressivamente il tempo passato a giocare; anche l’aumento della conflittualità nelle relazioni con le persone prossime, specie quando si discute riguardo l’abitudine contestata, ed essere in preda al “craving”, inteso come bramosia irrefrenabile di giocare, sono altri segnali che indicano che il gioco è sfuggito dal controllo.
Come si può intervenire? La proibizione aiuta?
L’intervento dovrà basarsi sulle evidenze scientifiche e su una adeguata comprensione di come è insorto il disturbo. Verosimilmente l’origine è multifattoriale (cause individuali, motivazionali, familiari, sociali, di esposizione ambientale, di gestione del tempo libero…) e quindi
andrà previsto un intervento multidisciplinare,
che vada ad intercettare ciascuno dei fattori causali o predisponenti, magari diversissimi da un ragazzo all’altro. La sospensione del comportamento di gioco è necessaria alla cura, per spezzare quelle routine quotidiane che sostengono i comportamenti disfunzionali stessi. Nel nostro organismo, quando si gioca, si attivano neuromediatori in grado di modificare lo status quo biologico, che andrà ripristinato attraverso l’astensione. Inoltre, alcuni videogiochi si basano su schemi di condizionamento attraverso rinforzi che rendono difficile da interrompere proprio quel comportamento una volta appreso. Non dimentichiamo di considerare anche cosa sta a monte di un discontrollo al gioco: non è certo un comportamento che il ragazzo compie per stupidità, quanto piuttosto probabilmente è un modo inadeguato che viene utilizzato per rispondere a un bisogno profondo e spesso legittimo.
Cosa consiglierebbe a un genitore di un adolescente dipendente dai videogiochi?
È sempre necessario cercare di comprendere il bisogno a cui risponde quel comportamento che con il tempo è diventato eccessivo: magari all’inizio è servito a migliorare l’autostima o a evitare relazioni con i pari, a gestire la solitudine o a molto altro ancora. Non è il caso di generalizzare.
Sono previste delle tutele, nel nostro ordinamento, per i soggetti fragili rispetto alla pervasività dei videogiochi?
Esistono delle prescrizioni in merito all’età a partire dalla quale un determinato gioco può essere reso accessibile a un minore (in genere ciò è indicato con sigle tipo 13+, a significare che il gioco può essere praticato da ragazzini che hanno più di 13 anni). Ma anche in questo caso torniamo al nodo centrale della faccenda: spetta anche a chi riveste una funzione educativa nei confronti del minore la verifica puntuale della tipologia e struttura di giochi che intende far utilizzare ai propri figli, per evitare spiacevoli sorprese. Provare a giocare a quel gioco prima di consentirlo, farlo insieme al figlio e sperimentare le emozioni che suscita possono dare delle indicazioni sul tipo di limiti che è opportuno porre.È diverso, in ogni caso, agire da un punto di vista preventivo (cioè per ridurre il rischio che uno svago si trasformi in mania) e da un punto di vista riparativo (cioè per interrompere un comportamento che ha già compromesso altre sfere di vita del proprio figlio, come il tempo dedicato a tale attività, i risvolti negativi sulla performance scolastica, l’isolamento sociale, l’umore…). In quest’ultimo caso sarà necessario avvalersi anche di un consulente esperto con il quale avviare un percorso familiare.
Quanto pesa sul diffondersi della dipendenza il fatto che oggi la rete offre un numero ingente di videogiochi?
Evidentemente l’offerta è uno degli elementi che concorre a favorire la pratica di tali giochi e, di conseguenza, l’ampiezza dell’offerta è in parte correlata allo strutturarsi di comportamenti di discontrollo: in altre parole, l’ampia gamma di giochi disponibili, alcuni dei quali con caratteristiche piuttosto aggressive, con buona probabilità consentirà a chiunque di trovare il proprio gioco favorito, cioè quello che risponde al suo personale bisogno (di sedazione, di attivazione, di socializzazione virtuale …). Tuttavia, l’offerta da sola non è un elemento del tutto sufficiente. Banale, ma forse utile da ribadire, è il fatto che
un ruolo determinante lo hanno i genitori e le figure educative di riferimento.
Oltre ad essere capaci di porre limiti, anche la loro capacità di dedicare tempo di qualità sin da piccoli ai propri figli, costruire dapprincipio un lessico condiviso riscoprendo il fare insieme, leggere, giocare a giochi di società e molte altre attività in alternativa ai giochi solitari che il bambino può fare per conto proprio, giochi “comodi” perché liberano l’adulto dal suo impegno, sono gli ingredienti preventivi centrali che sostengono una crescita sana e promuovono il benessere del giovane. Certamente, partecipare alla vita dei propri figli richiede tempo, impegno, disponibilità, costanza e dedizione. Ma non sono queste le caratteristiche del ruolo educativo?