Viaggi apostolici

Papa a Camerino: “Le promesse non finiscano nel dimenticatoio”

Camerino, grazie al Papa, è diventata la “città simbolo” della resilienza e della voglia di riscatto delle popolazioni terremotate del Centro Italia. Francesco, con un “fuori programma” a sorpresa, visita la “zona rossa” e da piazza Cavour lancia un appello per la ricostruzione, mettendo in guardia dal rischio che le promesse cadano nel “dimenticatoio”.  “Ci vuole più forza per riparare che per costruire, per ricominciare che per iniziare, per riconciliarsi che per andare d’accordo”.  Alle “casette”, l’incontro più intimo e commovente. “Santità, le affidiamo il nostro futuro”, recita uno striscione

Da piazza Cavour al santuario di S. Maria in Via sono circa 700 metri. È la distanza che il Papa ha percorso in golf cart per varcare di persona la “zona rossa”, con un “fuori programma” che la dice lunga sulla sua empatia verso chi nel centro storico, in una sola notte, ha perso tutto. Camerino, per un giorno, grazie ai riflettori puntati su Bergoglio è diventata “città simbolo” di tutte le popolazioni messe in ginocchio tre anni fa dal terremoto che ha devastato il Centro Italia. Voglia di riscatto dal silenzio assordante che avvolge ancora, tre anni dopo, il centro storico. Ricordare e ricostruire, i due imperativi dell’omelia della Messa celebrata in una piazza Cavour che non riusciva a contenere le persone, nonostante il sole caldo e asfissiante già dalle prime ore della mattina.

“Sono venuto oggi semplicemente per starvi vicino”,

dice Francesco. Il suo appello per la ricostruzione non fa sconti:

“Sono passati quasi tre anni e il rischio è che, dopo il primo coinvolgimento emotivo e mediatico, l’attenzione cali e le promesse vadano a finire nel dimenticatoio, aumentando la frustrazione di chi vede il territorio spopolarsi sempre di più”. E ancora: “Ci vuole più forza per riparare che per costruire, per ricominciare che per iniziare, per riconciliarsi che per andare d’accordo”. 

Ma “Dio non ci lascia nel dimenticatoio”, assicura il successore di Pietro, che ne ha dato una prova tangibile all’inizio del viaggio, entrando in sei delle “casette” – dovevano essere solo tre, da programma – degli sfollati. “Ridateci la dignità”, recitava uno degli striscioni di questi giovani, bambini, famiglie, anziani campioni di resilienza.

“Mentre quaggiù troppe cose si dimenticano in fretta, Dio non ci lascia nel dimenticatoio”.

Le prime parole del Papa in piazza Cavour sono di speranza, come quelle pronunciate all’inizio del suo viaggio a Camerino,  cominciato con la visita alle “casette”, dove Francesco è entrato intrattenendosi con gli sfollati del terremoto in un clima intimo e familiare, e proseguito con la visita privata in cattedrale e l’incontro con i sindaci dei comuni dell’arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche, in ogni sua tappa accompagnato dall’arcivescovo, Francesco Massara. Di fronte a case crollate e a edifici ridotti in macerie, la prima domanda evocata dal Papa, sulla scorta dei Salmi, è: “che cosa è mai l’uomo?”. Poi il riferimento al terremoto, ancora così presente nella memoria della gente:

“siamo piccoli sotto al cielo e impotenti quando la terra trema, ma per Dio siamo più preziosi di qualsiasi cosa”.

“Ricordo è una parola-chiave per la vita”, la tesi del Papa: “Ricordiamo quanto valiamo, di fronte alla tentazione di rattristarci e di continuare a rivangare quel peggio che sembra non aver mai fine”. “I ricordi brutti arrivano, anche quando non li pensiamo; però pagano male: lasciano solo malinconia e nostalgia”, il monito di Francesco. Dio “non ci toglie i pesi, come vorremmo noi, che siamo sempre in cerca di soluzioni rapide e superficiali; no, il Signore ci dà lo Spirito Santo”.

“Vieni Spirito consolatore, vieni a darci un po’ di luce, a darci il senso di questa tragedia,

a darci la speranza che non delude”, la preghiera pronunciata a braccio. “Quando siamo tribolati o feriti – e voi sapete bene cosa significa essere tribolati o feriti – siamo portati a ‘fare il nido’ attorno alle nostre tristezze e alle nostre paure”. Lo Spirito, invece, “ci libera dai nostri nidi, viene a darci forza, a incoraggiarci, a sostenere i pesi. Infatti è specialista nel risuscitare, nel risollevare, nel ricostruire”. E’ “una speranza a lunga conservazione”.

“Sono qui a pregare con voi Dio che si ricorda di noi, perché nessuno si scordi di chi è in difficoltà”, assicura il Papa. Poi l’appello per la ricostruzione, a non far calare l’attenzione sulla città-simbolo di tutti i territori del Centro Italia che dopo il terremoto sono diventati il cantiere più grande d’Europa, con il rischio dello spopolamento che diventa sempre più concreto. “Il Signore invece spinge a ricordare, riparare, ricostruire, e a farlo insieme, senza mai dimenticare chi soffre”, l’invito rivolto al futuro: ”Ciascuno può fare un po’ di bene, senza aspettare che siano gli altri a cominciare. Ciascuno può consolare qualcuno, senza aspettare che i suoi problemi siano risolti”. Anche portando la propria croce, ci si può avvicinare per consolare gli altri. “Che cosa è mai l’uomo? È il tuo grande sogno, Signore, di cui ti ricordi sempre”, la preghiera finale a braccio: “Non è facile capirlo in queste circostanze, Signore.

Gli uomini si dimenticano di noi, non ricordano questa tragedia. Ma tu, Signore, non ti dimentichi.

L’uomo è il tuo grande sogno, Signore, di cui ti ricordi sempre. Fa’ che anche noi ci ricordiamo di essere al mondo per dare speranza e vicinanza, perché siamo figli tuoi, il Dio di ogni consolazione”.

“Santità, le affidiamo il nostro futuro”,

lo striscione a carattere cubitali che giganteggiava alle “casette”. Il viaggio verso la vera fine della precarietà, per le zone terremotate del Centro Italia, grazie al Papa è cominciato a Camerino. Nessuno, d’ora in poi, potrà far finta di non aver sentito.