Dialogo

Teologia del Mediterraneo. De Simone (Pftim): “Le religioni possono aiutarci a ritrovare ciò che ci unisce”

Sta per concludersi il primo ciclo del nuovo indirizzo per il biennio di specializzazione in Teologia fondamentale attivato dalla Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale sezione San Luigi: “Teologia dell’esperienza religiosa nel contesto del Mediterraneo”. La coordinatrice fa un bilancio dell’iniziativa: ” È stata ed è una bellissima esperienza di lavoro di ricerca condivisa. Un vero e proprio laboratorio”. Anche i vescovi hanno risposto positivamente alla proposta. Si sono iscritti al nuovo indirizzo giovani sacerdoti, seminaristi, laici impegnati, religiosi di famiglie dedite alla missione tra i più poveri, appassionati del dialogo interculturale, esperti della fatica dell’incontro tra popoli e religioni diverse

Due anni fa la Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale sezione San Luigi ha attivato un nuovo indirizzo per il biennio di specializzazione in Teologia fondamentale: “Teologia dell’esperienza religiosa nel contesto del Mediterraneo”. Il primo ciclo del nuovo indirizzo sta per concludersi. Chiediamo un bilancio dell’iniziativa alla coordinatrice del biennio, Giuseppina De Simone.

Professoressa, come è andata questa esperienza?

Direi che è andata davvero molto bene. È stata ed è una bellissima esperienza di lavoro di ricerca condivisa. Un vero e proprio laboratorio che ha visto coinvolti docenti della nostra sezione ed esperti provenienti da altre istituzioni accademiche e da diversi Paesi del Mediterraneo, insieme a studenti motivati ed entusiasti. Un itinerario di scoperta dell’enorme ricchezza teologica che è dentro il Mediterraneo: questo contesto non solo geografico o storico-culturale ma dalla portata simbolica e, starei per dire, profetica.

Avete avuto molti iscritti a questo indirizzo? È stata colta dalle Chiese locali questa opportunità di formazione per i propri seminaristi?

I vescovi hanno dato fiducia alla sezione e alla proposta nuova che abbiamo presentato loro. Sono stati non solo informati fin dall’inizio, ma abbiamo cercato di tenere aperto con loro un canale di comunicazione che li facesse sentire protagonisti di questa esperienza e facesse soprattutto avvertire la portata ecclesiale di questa avventura. Abbiamo avuto un numero considerevole di iscritti nei due anni, ma è soprattutto la qualità della risposta quella che merita di essere sottolineata. Giovani sacerdoti, seminaristi, laici impegnati, religiosi di famiglie dedite alla missione tra i più poveri, appassionati del dialogo interculturale, esperti della fatica dell’incontro tra popoli e religioni diverse. C’è stata anche l’adesione di sacerdoti con incarichi di grande responsabilità nella Chiesa locale o nella famiglia religiosa di provenienza. Abbiamo avuto poi persone iscritte come uditori, perché non provenienti da studi teologici precedenti, che hanno seguito con noi alcuni corsi. E, quello che più conta, abbiamo visto crescere

un clima di fraternità e di condivisione tra di noi, nel piacere di essere insieme,

di poter vivere insieme non solo lo studio e la ricerca ma anche le esperienze di incontro con testimoni e storie significative, i percorsi stimolanti costruiti con la Scuola di arte e teologia e i viaggi, come quello fatto a Palermo nello scorso febbraio, veri e propri corsi itineranti in luoghi del Mediterraneo che ci hanno istruito con la loro storia, passata e presente, attraverso i suoni, i colori e la voce esperta di chi questa storia ha saputo raccontarcela con maestria. Un’esperienza davvero straordinaria della quale rendere lode al Signore!

La vostra scelta dopo il documento sulla “Fratellanza umana”, firmato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal grande imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyib, assume un valore ancora più importante?

Abbiamo accolto con grande commozione la firma di quel documento e con tutta la sezione ci siamo fermati a considerarne la genesi e le implicazioni. Per noi è stata la conferma della necessità del dialogo e della collaborazione operosa tra fedi diverse per la costruzione di un mondo più umano. Di enorme significato è poi il fatto che questo dialogo viene lì presentato, fin dalle prime battute, come un dialogo che nasce dalla fede, dal riconoscersi come fratelli nell’esperienza di Dio. Per noi vuol dire che l’esperienza religiosa quale esperienza di Dio è il terreno dell’incontro possibile, non motivo di divisione o di contrapposizione ma principio originario e fondante di un’unità da imparare a scoprire come dono e radice e verso la quale tendere con impegno responsabile.

La teologia del Mediterraneo cos’è?

Si tratta di riconoscere il Mediterraneo quale “luogo teologico”, contesto che non solo interroga il pensiero teologico ma che offre elementi di realtà, “segni”, che consentono una più profonda comprensione del Vangelo. Non si può fare teologia se non in un contesto e il contesto del Mediterraneo è particolarmente significativo per la storia dell’umanità, per quello che da qui è venuto, per quello che oggi rappresenta e per quello che può costituire in futuro. Qui più che altrove la diversità si è intrecciata in contaminazioni feconde, a volte anche a partire da scontri e conflitti; qui più che altrove è in gioco oggi il senso profondo della nostra umanità ed è qui che possiamo dar vita a nuovi scenari di convivenza in cui la diversità delle etnie, delle culture, delle religioni non sia temuta o semplicemente tollerata, ma entri in campo come ricchezza. Le religioni possono molto in tal senso se aiutano a ritrovare ciò che ci unisce e a recuperare il senso di una speranza più grande. Figli e fratelli chiamati ad una unità che è armonia delle diversità.

Quanto l’essere a Napoli ha favorito l’elaborazione di una teologia del Mediterraneo?

Napoli è città mediterranea. Lo si respira nelle strade e nei vicoli, nei sapori e nei colori, nell’arte che ne racconta la storia, nella confusione e nell’ospitalità che sa esprimere.

Napoli è una città accogliente come lo è il Mediterraneo per vocazione.

Fare teologia qui chiede che si faccia tesoro di questa storia che è fatta sicuramente anche di negatività ma che è prima di tutto storia di profonda umanità e di fede vissuta. Nella nostra specializzazione, non a caso, un posto particolare è riservato allo studio della religiosità popolare.

Papa Francesco parteciperà al convegno del 21 giugno: cosa cambia nel fare teologia dopo Veritatis Gaudium nel contesto del Mediterraneo?

Per tutta la sezione e per tutta la Facoltà è

un dono grande e inaspettato.

L’incoraggiamento a proseguire in un fare teologia, che muove dall’esperienza e che aiuta a leggerla, e a interpretare la realtà, a partire dalla Rivelazione cristiana. Nel proemio della Veritatis Gaudium si legge che le Facoltà di teologia devono essere sul territorio “un provvidenziale laboratorio culturale” e di “interpretazione performativa”: ecco quello che vorremmo poter essere, sempre più intensamente, a Napoli e nel Mediterraneo.