Giovani
All’XI Forum internazionale dei giovani che si è chiuso oggi a Roma con l’udienza di Papa Francesco, sono risuonate tante testimonianze. La voce dei giovani greci e iracheni: la crisi economica che morde e rende difficile pensare al futuro, la guerra che non lascia tranquilli, la mancanza di diritti e le discriminazioni che subiscono come minoranza cristiana. La fede e il sentirsi parte della Chiesa. La gioia per la visita di Papa Francesco in Iraq
(Da Ciampino) Si sentono protagonisti nella Chiesa, apprezzano l’attenzione che questa dedica loro e sono pronti a rispondere alla chiamata di Dio con tutto il loro entusiasmo: sono i giovani che in questi giorni hanno partecipato all’XI Forum internazionale dei giovani che si è chiuso oggi a Roma (dal 20 giugno), con l’udienza di Papa Francesco, organizzato dal Dicastero per i laici, la famiglia e la vita sul tema “Giovani in azione in una Chiesa sinodale”.
Al centro dei lavori dei 246 delegati, di età compresa tra i 18 e i 29 anni, in rappresentanza di 109 paesi e 37 comunità, movimenti e associazioni ecclesiali, l’esortazione apostolica “Christus vivit”, il testo frutto del Sinodo dei vescovi sui giovani svoltosi lo scorso ottobre.
Tra loro anche due giovani provenienti dalla Grecia, Maria–Lourdi Xanthaki, 19 anni, studentessa di ingegneria civile, di Syros, Vernardos Villas, 19 anni, studente di storia e archeologia, di Tinos, e una irachena, Nadia Yacoub Yousif Dando, 29 anni, insegnante di sostegno per bambini disabili, di Baghdad. Tutti e tre accomunati da realtà difficili, la lunga crisi economica che continua a mordere il Paese ellenico, il dopo Isis che rende ardua la stabilità e la ripresa dell’Iraq cui si aggiunge la condizione di minoranza in cui vivono le loro comunità, quella cattolica in mezzo alla maggioranza greco-ortodossa, e quella cristiana tra i musulmani. Nonostante ciò ai tre non manca il sorriso mentre snocciolano tutta una serie di questioni e di “sfide” che erano già uscite durante il Sinodo, vale a dire “la voglia di essere ascoltati, l’importanza e le difficoltà con le famiglie e nel mondo del lavoro, l’immigrazione, la cura del Creato e soprattutto il desiderio di una Chiesa vicina, trasparente e impegnata”.
Grecia. “In Grecia stiamo vivendo anni molto duri ma ora si intravedono dei miglioramenti – spiega Vernardos -. Come giovani siamo molto preoccupati per il futuro. Non sappiamo se troveremo un lavoro e se potremo avere un’occupazione collegata ai nostri studi. Il rischio di emigrare all’estero per trovare un lavoro soddisfacente è reale. Così i cervelli migliori vanno via. Da parte mia nutro la speranza che tanti sforzi e sacrifici possano essere ripagati da un futuro migliore”. “Se si vuole raggiungere un qualche traguardo nella vita bisogna impegnarsi e sacrificarsi – sottolinea Maria–Lourdi -. Molte persone hanno un lavoro che non ha nulla a che vedere con il proprio percorso di studio, e ciò è dovuto alla mancanza di posti. Studio ingegneria e vorrei contribuire a ricostruire il mio Paese. Spero di averne la possibilità”. Avere un lavoro e “mettere su famiglia” sono sfide da affrontare anche con fede. Il che non è sempre facile quando ci si trova a vivere una condizione di minoranza: “In Grecia – dicono i due giovani ellenici – la maggioranza della popolazione è ortodossa. Le relazioni tra ortodossi e cattolici sono piuttosto buone, specie tra i più giovani anche se non mancano le eccezioni.
Dialogare e crescere insieme è una chiave importante per ricostruire la Grecia”.
n questi giorni al Forum, Vernardos e Maria-Lourdi hanno potuto dialogare e confrontarsi con altri coetanei. “Abbiamo condiviso – affermano – dubbi, certezze, difficoltà e le abbiamo presentate alla Chiesa.
Il Sinodo di ottobre è stato un momento importante per farci ascoltare. La distanza che pareva esserci tra la Chiesa e le nuove generazioni con il Sinodo sembra essere diminuita e molti dei nostri coetanei che si erano allontanati si stanno riavvicinando.
I giovani sono il presente e il futuro della Chiesa. Ora che ritorneremo in Grecia ai nostri coetanei diremo che nell’affrontare le tante sfide che ci aspettano non siamo soli. C’è una Chiesa che ci sostiene e ci accompagna”.
Iraq. Nadia ascolta e annuisce. “Siamo parte della Chiesa universale. Sapere di non essere soli ci aiuta molto. L’Iraq – è la sua testimonianza – sta uscendo con fatica da lunghi anni di guerre e dalla lotta contro il dominio dell’Isis. Il futuro che abbiamo davanti non ci appare chiaro, limpido e sicuro”. Le sfide dei giovani iracheni si chiamano sicurezza, stabilità, lavoro, diritti e emigrazione. “L’emigrazione – ammette – è un dramma che riguarda moltissimi cristiani. A spingerli all’estero è anche una mancanza di diritti. I giovani iracheni soffrono molto per questo.
I cristiani – e spesso in Iraq lo dimenticano – sono gli abitanti originari del Paese e devono godere dei medesimi diritti di cittadinanza del resto della popolazione”.
I giorni trascorsi al Forum internazionale sono serviti a Nadia per comprendere che “in un modo o nell’altro tutti viviamo le stesse sfide: vita, lavoro, famiglia, stabilità. Parlarne insieme mi fa sentire più fiduciosa. Questo mi conforta molto dal momento che io, come cristiana irachena, vivo in una situazione di minoranza in mezzo a una maggioranza islamica”.
“Confrontarmi e ascoltare coetanei di altri Paesi mi ha dato una maggiore consapevolezza di quanto la fede sia necessaria per continuare a dialogare, a intessere relazioni, erigere ponti. L’Iraq ha bisogno di tutto questo per costruire una società tollerante, sicura e rispettosa”.
“Un grande conforto – conclude – ce lo darà Papa Francesco quando verrà in Iraq. Quando ha annunciato la sua intenzione di visitare il nostro Paese il prossimo anno siamo rimasti esterrefatti.
L’Iraq non ha tanto bisogno di aiuto materiale quanto di sostegno morale e spirituale. La visita del Pontefice va in questa direzione.
Verrà a confermarci nella fede e a donare a tutto il popolo la forza e la determinazione per andare avanti nell’opera di ricostruzione del nostro Paese”.