Politica

Strasburgo, su il sipario. Ma la partita vera si gioca a Bruxelles

L’avvio della nuova legislatura del Parlamento europeo è fissato per martedì 2 luglio nella città alsaziana. L’attenzione rimane però concentrata sul Consiglio in corso nella capitale belga, dove i 28 leader cercano un accordo per le più alte cariche comunitarie

foto SIR/Marco Calvarese

Mentre a Strasburgo prende avvio la nuova legislatura dell’Europarlamento (2019-2024), a Bruxelles si registra lo stallo sulle nomine delle principali cariche Ue: ossia i presidenti di Commissione, Consiglio europeo, Banca centrale e Alto rappresentante per la politica estera.

Nella partita di Bruxelles (i 28 capi di Stato e di governo sono riuniti in Consiglio europeo da domenica 30 giugno, e domani, martedì 2 luglio, si ritroveranno ancora una volta alle ore 11) entra, seppure non ufficialmente, anche la nomina del presidente del Parlamento.
Gli eurodeputati sono convocati fino al 4 luglio a Strasburgo. Nella giornata di domani si terrà l’insediamento ufficiale dell’assise; mercoledì 3 luglio è prevista la votazione del presidente e, a seguire, l’elezione dei 14 vicepresidenti e dei 5 questori. Giovedì 4 luglio, infine, gli eurodeputati potranno confrontarsi direttamente con i presidenti di Consiglio europeo, Donald Tusk, e Commissione, Jean-Claude Juncker, per mettere un punto fermo sui top job, anche in considerazione del fatto che, una volta scelto dai leader dei Paesi Ue, il presidente della Commissione dovrà ottenere il voto di fiducia dell’Assemblea.
La partita sulle euronomine nel frattempo mette in mostra tutte le divisioni – e a tratti le ripicche – tra premier e capi di Stato, con divisioni trasversali, candidati “bruciati”, nuovi accordi più o meno alla luce del sole. I nomi che circolano sono sempre gli stessi – Weber, Timmermans, Barnier, Vestager, Gabriel… – con alcuni outsider che spuntano a seconda dei casi.

Le trattative vedono vari protagonisti: dopo il superamento del cosiddetto “accordo di Osaka”, personaggi come Merkel e Macron non sono più gli unici a pesare: il presidente del Consiglio europeo Tusk tiene le redini, ma si moltiplicano i bilaterali dove emergono anche leader come Orban (Ungheria), Borissov (Bulgaria), Varadkar (Irlanda), Conte (Italia), Rutte (Paesi Bassi), Sanchez (Spagna).
Diversi anche i criteri da considerare per i top job: occorre infatti rispettare la provenienza politica (in campo ci sono popolari, socialdemocratici, liberali e verdi; le forze euroscettiche sono sostanzialmente fuori dai giochi), quella geografica (centro-nord, sud, est Europa), il rapporto tra Paesi grandi e piccoli, e il rapporto di genere, anche se i nomi di esponenti politici femminili che circolano sono sempre pochi.