Società

Ancora violenza. Non voltiamoci

Quanto accaduto a Villafranca Veronese non fa notizia, non solo perché siamo in piena estate, ma perché l’impressione è, sempre più, che di fronte a certa violenza ci si giri dall’altra parte, si faccia finta di non vedere. In realtà l’agire violento è l’indicatore di una certa cultura che nega la dignità della persona e il rispetto della legalità e riconosce solo la legge del più forte. È un veleno che piano piano rischia di propagarsi in tutto il corpo sociale

È successo a Villafranca Veronese, lunedì scorso. Un uomo senza fissa dimora, di 42 anni, di origini rom è stato pesantemente picchiato e poi dato alle fiamme. Ora è ricoverato in gravissime condizioni all’ospedale Borgo Trento di Verona. Sono in corso le indagini da parte della magistratura che dovrà accertare i responsabili e le ragioni che hanno ispirato un simile gravissimo gesto.
È un altro episodio di violenza che viene registrato e che si somma alle numerose aggressioni di questi mesi nei confronti, in particolare, di persone ai margini della società.
Va osservato che l’evidenza data all’aggressione è stata minima. Diciamo che la notizia non è, come solitamente si dice, balzata all’attenzione delle cronache, anzi è passata con grandissima velocità nel dimenticatoio. In queste giornate estive di grande calura, in cui, chi può, attende con ansia qualche giorno di vacanza, un simile episodio per molte persone non è stato nemmeno recepito. Non ci riguarda.
Accanto alla gravità del pestaggio, questo è l’altro elemento da annotare e su cui ragionare per tentare di capire come stiamo cambiando come società e cosa stiamo diventando.
Quanto accaduto a Villafranca non fa notizia, non solo perché siamo in piena estate, ma perché l’impressione è, sempre più, che di fronte a certa violenza ci si giri dall’altra parte, si faccia finta di non vedere.
In realtà l’agire violento è l’indicatore di una certa cultura che nega la dignità della persona e il rispetto della legalità e riconosce solo la legge del più forte. È un veleno che piano piano rischia di propagarsi in tutto il corpo sociale. Le notizie di bande di adolescenti che fanno uso della violenza per minacciare coetanei o passanti è un esempio quanto mai eloquente di tutto questo. Dovrebbe bastare questo per convincerci che tutto ciò ci riguarda molto da vicino.
Di fronte a quanto subìto dal quarantaduenne di Villafranca non possiamo dunque girarci dall’altra parte. Oltre a esprimere la nostra solidarietà a questo poveruomo, dobbiamo interrogarci su cosa possiamo fare per contrastare questa deriva.
La prima consapevolezza da alimentare è che non possiamo chiamarci fuori: questi fatti ci riguardano direttamente e dunque quello di informarci è un dovere primario.
In secondo luogo è necessario ribadire che violenza genera violenza. Anche per questa ragione abbiamo criticato i provvedimenti che, sostanzialmente, incentivano la diffusione dell’uso di armi da fuoco.
La violenza, poi, si alimenta in un contesto sociale malato, degradato e lacerato. Allora gli interventi dovrebbero andare prima di tutto e soprattutto nel favorire una socialità positiva, attiva e consapevole, capace di promuovere un contesto inclusivo e plurale. Non si può affidare la risoluzione dei problemi solo o prevalentemente all’azione repressiva e di controllo militare del territorio.
Si tratta, evidentemente, di un quadro complesso che richiede interventi su più piani e con il coinvolgimento di soggetti diversi, un quadro che richiede alla base una scelta chiara di campo che preveda il rifiuto della violenza sempre e comunque.
In tale orizzonte anche la comunità cristiana è chiamata a dare il proprio importante apporto collaborando sul territorio per esempio con iniziative educative e poi in molte altre maniere. Un modo, che andrebbe più valorizzato, è il farci vicini alle diverse situazioni con la preghiera nelle nostre liturgie. Perché non portare nelle nostre messe la richiesta di perdono per i nostri silenzi, il nostro non voler vedere situazioni come quella di Villafranca? Perché non pregare per le forze dell’ordine perché sappiano svolgere con giustizia e umanità il loro compito? Perché non chiedere al Signore che tocchi il cuore dei violenti?
Sarebbe una modalità significativa per aiutarci reciprocamente a non girare la testa e a rendere, così, le nostre celebrazioni sempre più vive.

(*) direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza)