Politica

Italia ed Europa

Col giuramento al Quirinale del “nuovo” ministro, mercoledì 10 luglio, dal rischio di caduta del governo all’ipotesi di una più ampia revisione degli incarichi, ci si è invece limitati ad un modesto “rimpasto” per due posti neanche troppo ambiti, che tuttavia non hanno un’importanza secondaria: Affari europei e Famiglia. Ma sul tavolo rimangono molti problemi da risolvere: archiviata la temuta “procedura d’infrazione”, bisognerà affrontare la questione migranti e la revisione del regolamento di Dublino, la richiesta della flat tax e il via libera all’autonomia regionale

Col giuramento al Quirinale del “nuovo” ministro, mercoledì 10 luglio, è stato ratificato il “rimpasto” del governo del cambiamento: Lorenzo Fontana – indicato dalla Lega di Matteo Salvini – assume l’incarico di ministro agli Affari europei, mentre lo sostituisce al ministero della Famiglia Alessandra Locatelli, sempre della Lega. Dal rischio di caduta del governo all’ipotesi di una più ampia revisione degli incarichi, ci si è invece limitati ad un modesto “rimpasto” – stile “Prima Repubblica”, commentano malignamente al Pd – per due posti neanche troppo ambiti, che tuttavia non hanno un’importanza secondaria. Anzi. L’incarico sull’Europa dato alla “antieuropeista” Lega non fa che sorprendere ulteriormente, o meglio forse è l’unica carta che restava per far mostra di portare l’ipotetico “cambiamento” anche là. Mentre il cambio nel dicastero della Famiglia – che sarebbe determinante per il presente e il futuro del Paese, se fosse preso sul serio – è forse il frutto di contese intergovernative sullo stesso concetto di famiglia. Tornando all’Europa, un sospiro di sollievo è d’obbligo dopo che la temuta “procedura d’infrazione” per l’Italia è stata cancellata dall’agenda, grazie – bisogna dire – ad un’efficace mediazione del premier Conte (che, ancora una volta, ha dovuto rimediare agli eccessi dei suoi diumviri legastellati) e del ministro Tria (che continua a giocare di equilibrio tra richieste insostenibili, come la flat tax, e conti da far quadrare). Nota stonata è stata piuttosto, certamente – a nostro avviso -, la persistente opposizione dei numerosi rappresentanti leghisti nella elezione del presidente del Parlamento europeo, praticamente l’unica carica di prestigio rimasta all’Italia, assegnata al Pd David Sassoli: sull’orgoglio nazionale (è il colmo per una forza sovranista…) ha prevalso la contrapposizione ideologica che ha spinto i leghisti – a differenza dei pentastellati – a non immischiarsi con forze di sinistra o moderate. Il che la dice lunga sulle possibilità di influire efficacemente sul futuro degli assetti europei partendo da queste posizioni. Ma si vedrà chi e come cambierà… Il M5S sfida il nuovo ministro a lottare subito per cambiare il trattato di Dublino. E qui emerge l’altra grande questione su cui, purtroppo, l’Italia risulta lasciata sola e su cui occorrerà senz’altro lavorare in Europa per soluzioni condivise. Ma non pare che la linea dura di Salvini contro i migranti – al di là di ottenergli sempre più ampi consensi in Italia – possa portare a frutti duraturi in una visione complessiva della questione con tutte le sue implicazioni internazionali europee ed extraeuropee. C’è poi l’altra grossa questione dell’autonomia regionale, sulla quale le due forze di governo sembrano giocare a rimpiattino, mentre la stessa Lega si trova divisa tra le esigenze delle originarie regioni del Nord e la propria nuova vocazione “nazionale”. Se, con Zaia, Salvini non riuscirà a spiegare ai colleghi di “contratto” che l’autonomia non è prevaricazione contro il Sud, ben difficilmente potrà portare a casa qualche apprezzabile risultato. E intanto il Paese attende, su queste e su tutte le altre questioni.

(*) direttore “Nuova Scintilla” (Chioggia)