Società
Gli italiani residenti all’estero sono passati dai 3 milioni del 2008 a 5 milioni nel 2018; nell’ultimo anno se ne sono andati in circa 130.000: il 27% di loro è tra i 18 e i 34 anni (ben il 56% tra i 18 e i 44), cui si aggiungono anche non pochi minorenni. A porre interrogativi è soprattutto la fuga dei giovani, in genere diplomati (35%) e laureati (30%). Dai 40.000 espatri del 2008 si è passati ai 115.000 del 2017. Intanto il nostro Paese invecchia e noi ci affanniamo a tenere lontani gli invasori immigranti
La questione è complessa, ma non può non preoccuparci, e sempre di più. Mentre l’enfasi dei discorsi politico-sociali in Italia sembra attardarsi fin troppo sul tema immigrazione, quel che invece richiederebbe più risposte, e immediate, è il tema emigrazione. Gli italiani residenti all’estero sono passati dai 3 milioni del 2008 a 5 milioni nel 2018; nell’ultimo anno se ne sono andati in circa 130.000: il 27% di loro è tra i 18 e i 34 anni (ben il 56% tra i 18 e i 44), cui si aggiungono anche non pochi minorenni – segno che ad espatriare sono non di rado anche intere famiglie. Ma ciò che più emerge e pone interrogativi è appunto la fuga dei giovani, in genere diplomati (35%) e laureati (30%). Dai 40.000 espatri del 2008 si è passati ai 115.000 del 2017. Il fenomeno che spinge a lasciare la propria terra è ancora più ampio se consideriamo la migrazione interna, soprattutto dal Sud (che si calcola abbia perso 2 milioni di giovani negli ultimi decenni) al Nord; mentre ad emigrare all’estero – paradossalmente, ma non troppo – sono soprattutto i giovani del Nord o comunque di città particolarmente fiorenti. Il che sta a dire che non è solo questione di occupazione, ma di altre esigenze connesse ad una visione più ampia e più promettente del proprio futuro. Risulta infatti che altrove le retribuzioni – a parità di impiego – sono più alte e la valorizzazione delle proprie capacità è più gratificante. Eppure in Italia il 31% delle aziende non riesce a trovare lavoratori (sarebbero pronti 1,2 milioni di nuovi contratti…) sia di profilo medio-basso, sia di alto profilo – per altro più rari o comunque meno gratificanti in quanto si tratta di aziende medio-piccole che non hanno investito nell’innovazione. Come, del resto, il Paese non investe a sufficienza nella formazione, nonostante i tentativi del progetto scuola-lavoro e le varie riforme universitarie. Dal nostro territorio, che si può definire un po’ il Sud del Nord, i giovani se ne vanno sia verso città più promettenti e attraenti (a Padova o a Milano, ecc.), sia verso l’estero (i Paesi più ambiti, come dal resto dei giovani italiani, restano l’Inghilterra – Londra soprattutto -, nonostante la Brexit, e la Germania, ma anche altri paesi e persino la Spagna). Cosicché non pochi genitori vanno ormai interrogandosi su chi li accudirà da anziani se i figli si stabiliscono definitivamente all’estero e si domandano anche come potranno intrattenersi con i nipoti che si esprimono ormai in altra lingua!… C’è chi consiglia di non chiamare questi giovani “cervelli in fuga”, ma piuttosto, ottimisticamente, “giovani che hanno scelto di cercare il bello del mondo ovunque si trovi”. C’è, a dire il vero e per fortuna, tra i giovani anche chi accetta la sfida e affronta con coraggio la situazione puntando ad affermarsi qui – nonostante i freni imposti da gestioni gerontocratiche e la riduzione di posti perfino nella Pubblica Amministrazione; ma bisognerebbe incentivarli: ecco un tema urgente per chi governa. Perché intanto il nostro Paese – e i nostri paesi – invecchia e noi ci affanniamo a tenere lontani gli invasori immigranti (rifugiati o immigrati economici che siano…), trascurando i nostri tanti emigranti.
(*) direttore “Nuova Scintilla” (Chioggia)