Ambiente

Il clima piange. Non restiamo a guardare

Le grida d’allarme che giungono da più parti non sono avvisi di possibili pericoli, ma l’indicazione di catastrofi in atto. Su questo serve evidentemente una pressione decisa sulle istituzioni politiche che devono prendere delle decisioni ora. Su questo versante tutti possono e devono fare la propria parte: dagli organismi internazionali, ai governi nazionali per arrivare ai Comuni. Serve quella che Papa Francesco ha definito “conversione ecologica” e che, evidentemente, non può non coinvolgere anche la comunità ecclesiale nelle sue diverse espressioni: dalla parrocchia, alle associazioni ecclesiali e di volontariato, alle congregazioni

Foto Luca Parmitano

L’Amazzonia brucia. I ghiacciai del Polo Nord si sciolgono. Trump vuole comprarsi la Groenlandia. Giacarta sta affondando e gli indonesiani sono costretti a spostare la capitale. Gli eventi estremi si moltiplicano. Eppure c’è ancora chi nega l’emergenza del riscaldamento globale e il fatto che questo è provocato dall’azione dissennata dell’essere umano.
Se tutto questo non bastasse ora abbiamo anche l’appello dallo spazio. L’astronauta Luca Parmitano in orbita a 400 km ha lanciato un altro grido d’allarme. “Da qui si osserva – ha dichiarato durante la conferenza stampa di fine luglio dalla stazione spaziale – un peggioramento causato dal riscaldamento globale del pianeta Terra. Dalla Stazione Spaziale ne noti i dettagli e i risultati scientifici lo confermano. Deserti che avanzano, ghiacci che si sciolgono”.
Per Papa Francesco è uno dei temi quasi ossessivi sul quale torna di continuo. Nell’enciclica “Laudato si’” al n. 23 già nel 2015 scriveva tra le altre cose “Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico. Negli ultimi decenni, tale riscaldamento è stato accompagnato dal costante innalzamento del livello del mare, e inoltre è difficile non metterlo in relazione con l’aumento degli eventi meteorologici estremi”.
Non è terrorismo psicologico ma, purtroppo, il prendere atto di una china che diventa sempre più pericolosa e che allarga drammaticamente il fossato tra chi ha (e quindi può in qualche modo difendersi dagli effetti dannosi degli eventi atmosferici estremi) e chi non ha. I giovani si sono mossi, hanno dato dei segnali chiari e forti a noi adulti, alle istituzioni, a chi ha responsabilità nella società.
A livello internazionale il quadro è sconfortante e (come nel caso del Brasile o degli Stati Uniti) gli interessi economici di una netta minoranza stanno mettendo a repentaglio il futuro di intere popolazioni. Le grida d’allarme che giungono da più parti non sono avvisi di possibili pericoli, ma l’indicazione di catastrofi in atto. Su questo serve evidentemente una pressione decisa sulle istituzioni politiche che devono prendere delle decisioni ora. Su questo versante tutti possono e devono fare la propria parte: dagli organismi internazionali, ai governi nazionali per arrivare ai Comuni, le istituzioni più vicine a noi cittadini. Serve quella che Papa Francesco ha definito “conversione ecologica” e che, evidentemente, non può non coinvolgere anche la comunità ecclesiale nelle sue diverse espressioni: dalla parrocchia, alle associazioni ecclesiali e di volontariato, alle congregazioni. C’è da un lato da intensificare l’azione di sensibilizzazione e formazione e dall’altro operare scelte in nome della sostenibilità. In questo occorre coinvolgere tutti, far capire che il clima non è né di destra, né di sinistra. Anche i sovranisti (alla Bolsonaro o Trump) devono convincersi che è in gioco la sopravvivenza del Pianeta.
Quello che ci sta accadendo sotto gli occhi ci dice che il nostro modello di sviluppo ha qualcosa di profondamente sbagliato al suo interno. Questo non significa bloccare il progresso, vuol dire ripensarlo. Non si può continuare a consumare terreno nel nome dello sviluppo. Su questo anche le categorie produttive devono riuscire ad arrivare a determinazioni coraggiose, percorrendo strade inedite.
Tutto questo ci riguarda tutti, indistintamente, a prescindere da cosa crediamo, da cosa votiamo, da dove arriviamo. Riguarda noi e soprattutto i nostri giovani. È dunque auspicabile che ci mobilitiamo (come avviene per esempio per i profughi) per fare pressione sui nostri rappresentanti politici perché si attivino in modo stabile, concreto e misurabile in questa direzione. Non c’è più tempo da perdere.

(*) direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza)