Salute pubblica
Johnson & Johnson è stata condannata a pagare 572 milioni di dollari per “aver alimentato un’ epidemia di dipendenza da oppiacei” nello Stato dell’Oklahoma. Per Walter Ricciardi la vicenda è “la conseguenza di un modello fallimentare di gestione della sanità e dei farmaci basato sostanzialmente sul libero mercato”. Il farmaco, mette in guardia, “non è un bene di consumo ma uno strumento di sanità pubblica”
La multinazionale statunitense Johnson & Johnson, responsabile di aver alimentato la crisi di dipendenza da antidolorifici oppioidi in Oklahoma, deve pagare un maxi risarcimento di 572 milioni di dollari per rimediare alla devastazione creata dall’epidemia in questo Stato. È destinata a fare storia la sentenza del giudice distrettuale della contea di Cleveland, Thad Balkman, nel primo processo contro un produttore di oppioidi, ma negli Usa sono almeno 2.000 le azioni legali avviate contro produttori, distributori e rivenditori di questi medicinali, ritenuti responsabili della morte di 400 mila persone nel Paese dal 1999. Secondo il procuratore generale dell’Oklahoma, Mike Hunter, che ha avviato l’azione legale nel 2017, Johnson & Johnson è alla radice della crisi e ha avuto un ruolo attivo nelle aggressive campagne dell’industria farmaceutica per spingere i medici a prescrivere gli oppioidi. L’Oklahoma è uno degli Stati più colpiti: fra il 2015 e il 2018 sono stati prescritti 18 milioni di ricette per questi farmaci, cifra spropositata per una popolazione di 3,9 milioni di persone.
“Questa vicenda – dice al Sir Walter Ricciardi, professore ordinario di igiene e medicina preventiva all’Università Cattolica (sede di Roma), uno dei massimi esperti di sanità pubblica – ci insegna che
il modello statunitense di gestione della sanità, in questo caso specifico di gestione dei farmaci basato sostanzialmente sul libero mercato, è totalmente fallimentare e porta a queste deviazioni”.
“Ad oggi siamo riusciti a respingere già un paio di volte in Europa la tentazione di abbracciarlo”, afferma lo scienziato, dal 2010 al 2014 presidente dell’ European Association of Public Health, l’associazione di tutte le società di sanità pubblica dei Paesi della regione europea dell’Oms. “La prima – ricorda -, sotto la presidenza Barroso, quando come società di sanità pubblica scientifica facemmo lobby per sventare una proposta di normativa Ue volta a garantire la libera pubblicità dei farmaci. La seconda, con la presidenza Juncker, quando siamo riusciti a far mantenere il farmaco all’interno della DG Santé di fronte al tentativo di scorporarlo, ribadendo che esso deve rimanere uno strumento di sanità pubblica”.
Per Ricciardi, “dobbiamo proseguire su questa strada: la vicenda americana è la più flagrante dimostrazione che quando si liberalizza la vendita dei farmaci, parificandola alla vendita di prodotti di consumo generale, e quando se ne affida la prescrizione a medici liberi di farlo senza alcun tipo di condizionamento, si generano queste deviazioni mostruose, con migliaia di morti da overdose di oppioidi, che non si sa come gestire”. Del resto, prosegue, “basta passeggiare nel centro di qualsiasi città Usa per incontrare gente sui marciapiedi in overdose. Ormai gli americani si stanno abituando, soprattutto in alcuni quartieri, a questo fenomeno reso possibile dalla liberalizzazione seguita alla ‘condanna’ subita una decina d’anni fa dagli Stati uniti per una legge estremamente restrittiva che di fatto vietava la possibilità di prescrivere gli oppiacei. A questa legge è seguita
una liberalizzazione selvaggia e priva di regole
che ha consentito alle case farmaceutiche di esercitare una potentissima azione di promozione sui medici, pagati e co-interessati, e forse in alcuni casi anche ingannati sui rischi di questi medicinali”.
Da noi potrebbe succedere? “No. Da noi esistono leggi restrittive e ci sarebbero delle linee guida. Non si può affidare unicamente alla discrezione di un medico la prescrizione di farmaci di questo tipo. I pazienti poi, lasciati a se stessi, sono a rischio overdose”. Questa vicenda, conclude, “è tipica di
un Paese ricco nel quale la sanità è una commodity e i farmaci un bene di consumo.
Questo noi dobbiamo evitarlo:
i farmaci sono e devono rimanere una tecnologia di sanità pubblica”.