Cinema
In concorso al Lido passano il secondo film italiano in gara, “Martin Eden” di Pietro Marcello con Luca Marinelli e Carlo Cecchi, così come l’animazione di Hong Kong “N. 7 Cherry Lane” del regista Yonfan
Inizia la seconda settimana della 76ª Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. Lunedì 2 settembre in concorso al Lido passano il secondo film italiano in gara, “Martin Eden” di Pietro Marcello con Luca Marinelli e Carlo Cecchi, così come l’animazione di Hong Kong “N. 7 Cherry Lane” del regista Yonfan. Il punto sulle proiezioni con il Sir e la Commissione nazionale valutazione film (Cnvf) della Cei.
“Martin Eden”
Classe 1976, Pietro Marcello si è fatto conoscere con alcuni documentari di taglio sociale; si ricorda in particolare “La bocca del lupo” (2009) con cui ha vinto il Torino Film Festival, il David di Donatello e il Nastro d’argento. A Venezia 76 presenta “Martin Eden”, un film di finzione che trae le mosse dall’omonimo romanzo del 1909 dello scrittore statunitense Jack London. Marcello recupera il cuore della vicenda, l’avventurosa e amara vita del protagonista, che da marinaio si appassiona a libri e scrittura al punto da sognare un futuro come intellettuale; un desiderio di conoscenza e ascesa sociale spinto anche dall’amore combattuto per una giovane donna borghese. Questi elementi vengono poi calati nel panorama politico-sociale dell’Italia del Novecento, cogliendo i fermenti del pensiero socialista, le rivendicazioni di marinai e classe operaia, così come la sorda distanza della classe borghese o governativa. Protagonista assoluto è il talentuoso Luca Marinelli, che condivide la scena con il veterano Carlo Cecchi e la giovane Jessica Cressy.
“Il cambio di scenario dalla California a Napoli” – dichiara Massimo Giraldi, presidente della Cnvf e membro della giuria cattolica Signis alla Mostra – “permette al regista Pietro Marcello di ancorare la vicenda al tessuto del nostro Paese, preservando comunque un forte respiro internazionale. Il giovane Marin attraversa le fratture lavorative e sociali del XX secolo senza tuttavia trovare una sua identità o collocazione precisa. Prova disperatamente ad attivare l’ascensore sociale, ma ne viene sempre respinto. La regia è controllata e visionaria insieme, mettendo in atto un’operazione antropologica valida e suggestiva. Forse non tutto torna, ma questo poco importa, perché il film funziona e appassiona”.
“Come nella sua opera precedente ‘La bocca del lupo’” – rimarca Sergio Perugini, segretario della Cnvf e giurato Signis – “Pietro Marcello compone un potente racconto di denuncia, tra storie di emarginati e lavoratori sfiancati, mescolando alla narrazione inserti di repertorio del cinema delle origini. Anche in ‘Martin Eden’ ci sono i volti e luoghi portuali, il rimando a spazi di frontiera dove regna la voglia di abbandono o di approdi disperati. Il regista dà voce agli scartati, sottolineando come l’educazione sia la via per la risalita; un percorso però che deve essere accompagnato da un rispetto verso se stessi e il prossimo. Martin si mette in gioco con la vita con cuore puro, ma la società lo giudica, lo schernisce, persino lo sfrutta e infine lo abbandona (nuovamente) ai margini. Un’opera dura e intensa con una punteggiatura poetica”.
Dal punto di vista pastorale il film è complesso, problematico e adatto per dibattiti.
“N. 7 Cherry Lane”
È un regista di Hong Kong di 71 anni Yonfan, autore di 14 lungometraggi; a Venezia presenta il suo primo film di animazione ambientato nella sua città nella metà degli anni Sessanta, in concomitanza con le agitazioni del 1967. Il film mostra il giovane studente universitario Ziming che si affaccia alla vita, scontrandosi con le agitazioni di protesta e i primi sentimenti. Ziming, nel dare ripetizioni di lingua inglese alla studentessa Meiling, si invaghisce (ricambiato) della madre della ragazza, la signora Yu.
“L’elemento portante del film” – indica Massimo Giraldi – “è fornito da continui riferimenti al cinema e alla letteratura europea nonché statunitense (“Jane Eyre”, “Cime tempestose”, il film “Il laureato”, ecc.). È un racconto d’amore decadente e romantico, cui la musica imprime particolare pathos. Vengono messi in scena i tormenti di una relazione impossibile, facendo uso di sguardi e silenzi. Seppur muovendosi lungo chiari presupposti, il film smarrisce intensità per eccessive divagazioni e citazioni. Il film si sovraccarica di suggestioni, al punto da faticare a comprenderne il senso dell’operazione”.
“Non si tratta di un film di animazione secondo i canoni del cinema giapponese, primo riferimento nella cultura asiatica e non” – afferma così Sergio Perugini – “Lo stile visivo che adotta Yonfan è chiaramente elegante e in cerca rimandi poetici, ma rischia di apparire poco credibile e autoreferenziale. L’opera prova a coniugare il tormento del cuore dei protagonisti con i fermenti della società esterna; un ribollire di tensioni, uno scontro tra modernità e tradizioni socio-culturali, che non sempre trova il giusto accordo ed equilibrio”.
Dal punto di vista pastorale il film è complesso e problematico.