Viaggio apostolico
In Mozambico Papa Francesco è andato dopo trent’anni dal viaggio di Giovanni Paolo II. Con il viaggio di Papa Wojtyla ebbe inizio il processo di pace e di riconciliazione; in Mozambico, infatti, c’era un conflitto civile, ora in fase di risoluzione
Il tormentato agosto politico italiano si è finalmente concluso. Così finisce anche quel clima ormai irrespirabile di dichiarazioni roboanti, di proclamate alleanze e tradimenti delle stesse, di poltrone inseguite. Ora c’è un’aria nuova e un nuovo governo che aspettiamo all’opera per valutare.
Ad aprirci, però, a prospettive più ampie è soprattutto il viaggio del Papa in Paesi da considerare periferici rispetto alle grandi potenze. La sua dedizione ai problemi dei poveri gli ha meritato gli attacchi di personaggi che non sono neanche da definire conservatori. Sono piuttosto i custodi degli interessi dei potenti, i quali si azzardano a dire che il Papa tradisce il Vangelo, che loro non conoscono. Il Papa si è recato in Mozambico, Madagascar e Mauritius, nelle periferie del mondo.
In Mozambico Papa Francesco è andato dopo trent’anni dal viaggio di Giovanni Paolo II. Con il viaggio di Papa Wojtyla ebbe inizio il processo di pace e di riconciliazione; in Mozambico, infatti, c’era un conflitto civile, ora in fase di risoluzione. Ha detto Papa Francesco prima del viaggio: “Avrò la gioia di vedere come cresce la semina fatta dal mio predecessore”. Poi è andato in Madagascar, dove permangono forti disparità tra pochissimi ricchi e tantissimi poveri. Infine, è andato nelle Mauritius a celebrare al monumento di Maria Regina della Pace. Quando Francesco fu eletto Papa, il cardinal Claudio Hummes gli suggerì di non dimenticarsi dei poveri, sulle orme di Francesco di Assisi. È dunque un pellegrino di pace, per la difesa dei poveri, in Paesi in cui i disastri climatici impoveriscono sempre più le popolazioni.
Papa Francesco sottolinea la sua continuità con il magistero di Giovanni Paolo II. Lo è soprattutto nell’accoglienza dei profughi, dei migranti e dei poveri. Nel messaggio di Papa Wojtyla per la Giornata dei migranti del 2005, l’ultimo prima della sua morte, al centro c’è il problema dell’integrazione, che non è né assimilazione, né isolamento. È piuttosto un processo prolungato, che tende a maturare nuove forme culturali e sociali. “Si dovrebbe promuovere una fecondazione reciproca delle culture. Ciò suppone la conoscenza e l’apertura delle culture tra loro,
in un contesto di autentica comprensione e benevolenza”.
Quando quelle popolazioni fuggono da fame e guerra e vengono da noi qualcuno vorrebbe ricacciarli in mare, a volte anche citando Papa Giovanni Paolo II, con grande faccia tosta. Quella fecondazione viene riproposta dai viaggi di Papa Francesco con aperture a orizzonti che noi, chiusi nei nostri sovranismi, abbiamo ignorato.
(*) direttore “Il Momento” (Forlì-Bertinoro)