Libertà religiosa
Una lettera di protesta contro la recente nazionalizzazione delle scuole cattoliche in Eritrea è stata inviata dagli eparchi cattolici al ministro dell’istruzione pubblica. A settembre altre 3 scuole sono state requisite (7 comprese strutture protestanti e musulmane), che si vanno aggiungere alle 21 cliniche dei mesi scorsi (in totale 29). Un giro di vite di cui non riescono a comprendere le ragioni
I vescovi dell’Eritrea alzano la voce contro la nazionalizzazione di scuole e ospedali cattolici e chiedono spiegazioni al governo: “Se questo non è odio contro la fede e contro la religione cos’altro può essere?”. Lo scrivono in una lettera di protesta contro “l’arbitrario e unilaterale provvedimento assunto di recente dal governo della nazione con la statalizzazione delle nostre cliniche” (oltre a 29 ospedali e centri sanitari) e “delle nostre scuole” il 4 settembre al ministro dell’istruzione pubblica Semere Re’esom. L’ultima requisizione risale al 3 settembre scorso: si tratta della scuola elementare e media inferiore S.Giuseppe dei Fratelli Lassalliani a Cheren; della scuola media superiore dei Frati Cappuccini a Addi-Ugri e della scuola media inferiore e superiore S.Francesco dei Frati Cappuccini a Massawa. “Su tutti questi provvedimenti formuliamo ora la nostra doverosa e legittima protesta”, scrivono gli eparchi cattolici monsignor Menghisteab Tesfamariam, arcivescovo di Asmara, monsignor Thomas Osman, eparca di Barentù, monsignor Kidane Yebio, eparca di Cherne e monsignor Fikremariam Hagos, eparca di Segheneyti, in una lettera pervenuta in originale al Sir.
Un giro di vite contro strutture educative e sanitarie. Nonostante la firma degli accordi di pace con l’Etiopia nulla è cambiato in Eritrea sul fronte diritti umani e libertà religiosa, come confermato anche recenti rapporti di Human rights watch e dell’Onu, che ha confermato il mandato alla Commissione d’inchiesta sulla violazione dei diritti umani. Tra gli ultimi episodi gravi la chiusura e la presa di possesso di 7 scuole gestite da organizzazioni religiose (cattoliche, protestanti e musulmane), “completamente gratuite e frequentate dai ragazzi delle famiglie più povere ed emarginate”, tutti giustificati da una legge del 1995 che assegna alla esclusiva competenza dello Stato ogni forma di attività sociale e di assistenza. Per molti osservatori queste requisizioni sono una ritorsione contro la Chiesa cattolica che aveva sollecitato una concreta politica di riforme, l’attuazione della Costituzione approvata nel 1997 ma mai entrata in vigore, la convocazione di libere elezioni.
Tre scuole cattoliche nazionalizzate a settembre. Già due anni fa era stata chiusa la scuola secondaria del Santissimo Redentore del seminario di Asmra, a settembre si sono aggiunte altre 3 scuole secondarie, una delle quali comprensiva anche delle elementari. “E’ da sempre nei desideri e nell’agenda di noi vescovi della Chiesa cattolica – così inizia la lettera – incontrarci con le autorità governative per dialogare su tutto ciò che attiene alla situazione della nostra Chiesa e della nostra nazione. Purtroppo a questo desiderio non è stata mai accordata una qualsiasi considerazione da parte delle autorità statali”. I vescovi ribadiscono che scuole e ospedali fanno parte “dell’essere e della missione” della Chiesa e
“nessun altro scopo, aperto o coperto, si propone la Chiesa nella gestione delle sue istituzioni educative,
se non l’onesto, corretto e appassionato contributo alla promozione integrale dell’uomo, oggi come ieri”. Non riescono dunque a capire “in quale categoria di possibili e immaginabili spiegazioni inquadrare questo espropriare la Chiesa delle sue istituzioni educative, strumenti attraverso cui ha profondamente inciso nella crescita, nel progresso e nella civiltà di un intero popolo”: “Con quali fondamenti si è osato dichiararla, con i fatti piuttosto che con le parole, priva di ogni titolo e di ogni diritto di rivendicazione nei riguardi di tali istituzioni?”
Nessuna infrazione delle regole, allora perché? “Se questo non è odio contro la fede e contro la religione cos’altro può essere?” si chiedono. Anche perché non è stata data nessuna giustificazione alla recente nazionalizzazione delle scuole, visto che non c’è stata “nessuna trasgressione delle norme amministrative scolastiche, nessuna infrazione delle regole, nessuna inadeguatezza pedagogica o didattica, nessuna colpa per commissione o per omissione”. Al contrario, visto l’alta qualità e il livello delle scuole, “ben lungi dal subire le recenti ingiustificabili alienazioni, esse avrebbero dovuto meritare i più alti riconoscimenti e incoraggiamenti”.
“Prendere risoluzioni e intraprendere azioni in qualsiasi modo lesive di questo ed altri diritti non è accettabile ed è soprattutto dannoso per tutti”
perché “viene negata la libertà del singolo e se ne paralizzano le attività. E dove la libertà e il diritto sono negati, non c’è più spazio né per la pace, né per la libertà, né per il diritto”.
Le richieste al governo. Perciò, “come eritrei e come cattolici” dichiarano di respingere “tutti i passi che, di tempo in tempo, vengono assunti dallo Stato contro le nostre istituzioni sociali”. Dicono di
non essere “disposti a scendere a compromessi con la violazione dei diritti e dei doveri
che ci spettano come cittadini e come credenti”. Perciò chiedono che “le recenti risoluzioni vengano rivedute e il conseguente corso d’azione tempestivamente fermato”; che a “tutte le istituzioni educative e sanitarie della Chiesa” venga “concesso di poter continuare i loro preziosi e altamente apprezzati servizi al popolo”; e che se ci fosse bisogno di “correzioni o di aggiustamenti” l’unica via praticabile è “un aperto e costruttivo dialogo”. Dichiarano infine
l’intenzione di “dare continuità” al servizio ecclesiale “in campo educativo, a qualsiasi livello e di qualsivoglia genere, nel rispetto delle relative normative statali.
Riteniamo lesiva della sua libertà e dei suoi diritti qualsiasi azione contraria a una tale missione”. Finché “non le saranno restituiti tali diritti” – concludono – la Chiesa “non cesserà di chiedere giustizia a chi detiene il potere di amministrarla”.