Medio Oriente
Annettere gli insediamenti israeliani nella Valle del Giordano e nella sponda nord del Mar Morto: è la promessa che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si impegna a mantenere in caso di vittoria alle elezioni del prossimo 17 settembre. Ne abbiamo parlato con l’analista ed esperto di Medio Oriente, già presidente del Centro italiano per la pace in Medio Oriente (Cipmo), Janiki Cingoli
Annettere gli insediamenti israeliani nella Valle del Giordano e nella sponda nord del Mar Morto: è la promessa che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si impegna a mantenere in caso di vittoria alle elezioni del prossimo 17 settembre. A meno di una settimana da quella che si profila come una delle tornate elettorali più incerte degli ultimi anni, il premier israeliano, al potere dal 2009, gioca la mossa di “estendere la sovranità israeliana” a questa parte della Cisgiordania occupata dal 1967. La Valle del Giordano si estende su una superficie di 2.400 km quadrati (con 2,5 milioni di abitanti palestinesi), equivalente a un terzo della Cisgiordania dove nel corso degli anni circa 500 mila coloni israeliani vivono sparsi tra insediamenti e avamposti illegali. Un’iniziativa che rischia di infiammare ancora di più l’area mediorientale. Nelle intenzioni di Netanyahu la Valle del Giordano e il nord del Mar Morto diventeranno “il confine orientale e la cintura di sicurezza del paese”. Cartina alla mano il premier ha indicato le zone da annettere: “da Beit Shean al nord scendendo per la cosiddetta ‘Pista Allon’ fino a Ein Gedi sul Mar Morto”. Non sarà annessa la città di Gerico che, come una sorta di enclave, resterà all’Autonomia nazionale palestinese (Anp). Saranno invece annessi ad Israele grandi insediamenti come Maalè Adumim, Gush Etzion, oramai contigui a Gerusalemme, e Ariel.
Reazioni arabe. L’annuncio di Netanyahu ha provocato la dura reazione palestinese e del mondo arabo. “La terra di Palestina non fa parte della campagna elettorale di Netanyahu e non è in vendita”, ha tuonato il premier palestinese Mohammad Shtayyeh che ha definito Netanyahu “il principale distruttore del processo di pace”. Da parte sua il presidente palestinese Abu Mazen ha minacciato di cancellare “tutti gli accordi con Israele” mentre la Lega degli Stati arabi, la Turchia, l’Arabia Saudita, la Giordania hanno condannato duramente l’annuncio israeliano parlando di “aggressione”. Per Hamas, che governa la Striscia di Gaza, “senza la copertura americana e il silenzio internazionale, soprattutto europeo, Netanyahu non avrebbe potuto compiere passi di questo genere”. Da Riad è giunta anche la richiesta per una “riunione di emergenza” dei ministri degli Esteri dei 57 Stati membri dell’Organizzazione per la cooperazione islamica (Oic).
Rischio concreto. “Il rischio, adesso, è liquidare la dichiarazione di Netanyahu come una strategia elettorale, peraltro non nuova, avente lo scopo di ricompattare l’elettorato del Likud ed estromettere dai giochi i suoi avversari dell’estrema destra e svuotare i partiti religiosi”. Secondo l’analista ed esperto di Medio Oriente, già presidente del Centro italiano per la pace in Medio Oriente (Cipmo), Janiki Cingoli,
“l’iniziativa del premier israeliano potrebbe rivelarsi concreta anche perché si collega al riconoscimento del presidente Usa, Donald Trump, della sovranità di Israele sulle alture del Golan e alla scelta Usa di non considerare la Cisgiordania come territorio occupato (ma controllato, ndr.). Annunci che potrebbero lasciare il via libera all’annessione di parte della Cisgiordania storicamente rivendicata da Israele”.
A questo si aggiunga, spiega Cingoli, “il cosiddetto ‘Accordo del secolo’, che nelle intenzioni di Trump dovrebbe porre fine al conflitto israelo-palestinese, ma che avrà, a quanto pare, un taglio prevalentemente economico. In questo accordo, secondo alcune indiscrezioni, la valle del Giordano e la sponda nord del Mar Morto sono entrambi considerati una riserva di sicurezza da Israele così come i grandi blocchi di insediamenti. Si profila così una serie di bantustan (entità territoriali destinate ad accogliere solo palestinesi, ndr.) con una autonomia rafforzata e con incentivi di carattere economico”. Per Cingoli, inoltre, “la promessa di Netanyahu va inserita in un quadro più ampio di tensione con Iran, Libano, Siria e Gaza anche se va registrato il possibile incontro di Trump con il presidente iraniano Rouhani alla prossima assemblea dell’Onu, mediato dalla Francia. Non dimentichiamo anche gli scambi a colpi di artiglieria nel nord, al confine con il Libano e con Gaza, dove continuano i lanci di razzi da parte palestinese”. Siamo davanti alla pietra tombale sul processo di ripresa dei negoziati?
“Dubito che con Trump si possa parlare di processo negoziale in atto – dichiara Cingoli – ma nessuno può escludere che il presidente Usa possa cambiare idea anche davanti a una rielezione. Così come per Netanyahu che a fianco di dichiarazioni bellicose, in campagna elettorale, si adopera poi per evitare fiammate di violenza”.