Solidarietà

In Armenia alla scoperta dei progetti sostenuti dall’8xmille: dal centro di cura per anziani all’Ospedale Redemptoris Mater

Viaggio tra i progetti in Armenia sostenuti dall’8xmille della Chiesa italiana. A Gyumri un centro diurno di cura per gli anziani e ad Ashotsk un Ospedale gestito da un padre camilliano italiano. Una regione distrutta dal terremoto che ancora oggi fa i conti con la caduta dell’Unione Sovietica. La Chiesa cattolica qui è un “segno” di amore donato a tutti e in modo disinteressato

Il terremoto del 1988 ha distrutto tutto. Gyurmi era una città fantasma, rasa al suolo. 25mila i morti accertati. Ma le vittime furono molte di più. Fu una catastrofe che ha messo in ginocchio la popolazione. Nonostante le promesse, 3mila persone vivono ancora nei container. Siamo nel nord dell’Armenia a confine con la Georgia. Dopo soli tre anni dal terremoto il crollo dell’Unione Sovietica è la botta finale. Le industrie che qui il regime aveva fatto costruire, chiudono. La popolazione che con il sisma aveva perso tutto, ora si ritrova senza una occupazione. Sono stati anni difficilissimi. I giovani se ne vanno. I villaggi si svuotano. La povertà di chi rimane è infinita.
È qui nella città di Gyurmi che si trova la sede della Caritas Armena. Ci lavorano oggi 200 persone e sono 55 i progetti realizzati in tutto il Paese. Progetti a favore dell’infanzia, a sostegno degli anziani, per i disabili e i migranti. Sono 6mila i rifugiati dalla Siria. Ma non ci sono solo loro: ci sono anche gli armeni che hanno tentato una nuova vita all’estero. Per farlo hanno venduto tutto e quando sono stati costretti dalla crisi a ritornare a casa, sono ritornati avendo però perso tutto. “Lo scopo del nostro lavoro – racconta Anahit Gevoegyan, project manager Caritas – è generare un cambiamento di vita nelle persone promuovendo dalla base  un contributo allo sviluppo e alla giustizia sociale del paese”. “Il problema più importante  – aggiunge Gagik Tarasyan, direttore della Caritas Armena – è la mancanza di lavoro che genera povertà ed emigrazione”. I giovani non restano. Cercano fuori una speranza di vita. Il nostro obiettivo è fermare questo esodo di massa ma per convincerli a rimanere occorre promuovere sviluppo e soprattutto possibilità di lavoro”.

Se i giovani partono, i genitori si invecchiano soli. Sono tanti qui gli anziani che hanno bisogno di assistenza ma soprattutto di qualcuno che tende loro una mano non lasciandoli soli. È per questo motivo che a Gyurmi la Caritas ha avviato un Centro diurno per anziani. Lo può fare grazie anche ai fondi dell’8xmille che i contribuenti danno alla chiesa cattolica. Un aiuto di 89mila euro per tre anni che riescono a dare un sorriso a queste persone. Gli anziani accendini la musica e si mettono a ballare. C’è chi gioca a scacchi e chi alle carte.  “Questa è la loro casa. Qui possono incontrare gente. Parlare. Mangiare. Lavare e stirare la biancheria. Curarsi”, dice un operatore. Il centro si occupa di 60 anziani ma c’è anche un servizio di assistenza a domicilio che permette a 120 persone a anziane di essere seguite e curate.

Ci vuole un’ora di macchina per raggiungere Ashotsk da Gyumri. La strada è  dissestata. Siamo su un altopiano a 2mila metri di altezza dove all’orizzonte non c’è nulla. Solo aquile e mucche qua e là fanno compagnia al viaggiatore. Il resto sono colline di colore giallo. È qui che ad un certo punto sbuca praticamente dal nulla l’Ospedale Redemptoris Mater dei Camilliani. Un edificio di 5mila metri quadri tutto a piano terra per evitare che i cali di elettricità possano bloccare gli ascensori. Ad accogliere una delegazione di giornalisti italiani (in Armenia per raccontare i progetti 8xmille della chiesa italiana) c’è padre Mario Cuccarollo vicentino, direttore amministrativo dell’ospedale. Con il terremoto poi il crollo dell’Unione Sovietica anche questo territorio è diventato una zona franca. I camilliani hanno accettato la sfida di tenere aperto l’ospedale. Un’ impresa coraggiosa che rappresenta l’unica possibilità per questa gente di accedere a cura sanitarie ma che ogni anno costa 650mila euro, vissuta sul filo di lana o come dice padre Mario “con l’acqua alla gola” ma sempre  nella certezza che la Provvidenza arriva ed è sempre puntuale.

L’ospedale conta oggi 140 dipendenti e serve un bacino di 13mila persone ma arrivano qui a curarsi anche dalla capitale Yerevan e addirittura dalla Georgia perché qui i trattamenti medici costano pochissimo o sono addirittura gratuiti in un paese dove la sanità è a pagamento. Gratuiti sono la pediatria, la maternità,  il pronto soccorso così come le visite nei 21 ambulatori distribuiti in tutti i villaggi del territorio e coordinati dall’ospedale. Le malattie più comuni sono quelle legate alla povertà. Arrivano bimbi con disturbi gastro intestinali a causa della poca igiene o addirittura affetti di rachitismo per una cattiva alimentazione e talmente debilitati da non riuscire a tenersi in piedi. D’altronde qui si vive di pastorizia. Anche i bambini vanno al pascolo. E il lavoro è pagato pochissimi con paghe che non superano i 5 euro al giorno. Anche qui in questo luogo sperduto è arrivato il contributo dell’8xmille italiano. La Cei ha donato a questo progetto, nel 2015, 600mila euro per tre anni e nel 2018 ha stanziato 300mila per altri tre anni. ‘Quando i miei superiori mi hanno chiesto di venire qui mi hanno dato solo 10 minuti per pensarci. Ho detto di si è sono rimasto qui 30 anni”, racconta padre Mario. “La nostra presenza qui è un segnale. Di amore a questa terra e a questo popolo dato a tutti e in modo disinteressato”.