Fine vita
La recentissima sentenza della Corte costituzionale sul caso “Cappato-Dj Fabo” non ha dichiarato incostituzionale l’articolo del Codice penale che prevede il reato di istigazione al suicidio, ma ha previsto “solo” delle deroghe. Stiamo parlando di un tema tanto delicato quanto complesso e per questo è utile e opportuno evitare da ogni parte toni da crociata. Proprio il carattere profondamente intimo del dolore di chi si trova in una situazione estrema dovrebbe innanzitutto portare le istituzioni a fare tutto il possibile per sostenere il paziente e chi sta a lui vicino
La recentissima sentenza della Corte costituzionale sul caso “Cappato-Dj Fabo” e quindi sul suicidio assistito lascia sul terreno numerosi punti interrogativi, perplessità e preoccupazioni.
Premesso che bisogna attendere le motivazioni della sentenza per cogliere tutti gli elementi che hanno portato a questo risultato, si possono fin da ora proporre alcune considerazioni.
In via preliminare va detto, innanzitutto, che la Corte non ha dichiarato incostituzionale l’articolo del Codice penale che prevede il reato di istigazione al suicidio, ma ha previsto “solo” delle deroghe.
Va poi evidenziato che stiamo parlando di un tema tanto delicato quanto complesso e per questo è utile e opportuno evitare da ogni parte toni da crociata. In tal senso è quanto mai significativo il richiamo del segretario generale della Cei mons. Russo all’atteggiamento di dialogo che non deve mai venir meno. La natura stessa del tema impone, poi, sempre grande rispetto per chi si trova a vivere una situazione che possa ricadere in questa fattispecie. Non si può misurare e giudicare il dolore degli altri, al massimo lo si può accompagnare, per chi crede, con la preghiera.
Proprio il carattere profondamente intimo del dolore di chi si trova in una situazione estrema (una patologia irreversibile e affetto da una sofferenza psicologica insopportabile, tenuto in vita da “macchine” come indicato dalla sentenza della Corte) dovrebbe innanzitutto portare le istituzioni a fare tutto il possibile per sostenere il paziente e chi sta a lui vicino. Invece, mentre qualcuno lotta per vedere riconosciuto il diritto (?!) a morire, nel nostro Paese rimane ancora senza attuazione la legge sulle cure palliative, pensata proprio per dare sostegno a chi si trova in situazioni simili. Insomma rimane forte il dubbio che per lo Stato sia più facile lasciare solo chi soffre, dandogli la possibilità di farla finita, piuttosto che attrezzarsi per accompagnare lui e i familiari in questo ultimo tratto di vita.
C’è poi la questione di fondo: dietro la pietà per dei casi estremi si apre uno spiraglio che rappresenta una china con possibili sviluppi pericolossissimi per la dignità della persona e la difesa innanzitutto dei più fragili.
Infine colpisce che con questa sentenza la Corte si sostituisca di fatto al Legislatore. È una china altrettanto pericolosa che dice la difficoltà che sta vivendo la nostra democrazia. Un motivo in più per preoccuparsi.
(*) direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza)