Recensione
“Joker” di Todd Philips con Joaquin Phoenix, dal 3 ottobre in sala, è un film potente, delirante, visionario, che ammalia e turba insieme. Per questo motivo abbiamo deciso di affrontarlo, tra pro e contro
Non quattro film, ma uno solo, il vincitore del Leone d’oro alla 76ª Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. La rubrica di cinema del Sir e della Commissione nazionale valutazione film della Cei, che ogni giovedì presenta le uscite in sala con una selezione di quattro titoli, questa settimana è interamente dedicata al film “Joker” di Todd Philips con Joaquin Phoenix, dal 3 ottobre in cartellone. Un film potente, delirante, visionario, che ammalia e turba insieme. Per questo motivo abbiamo deciso di affrontarlo, tra pro e contro.
Oltre i confini del fantasy, una cruda realtà
Ha sconfinato i generi di riferimento il film “Joker”. L’opera, che si potrebbe definire come un prequel o spin-off del ciclo cinematografico dedicato a Batman, prendendo le mosse dai fumetti della DC Comics, abbandona nella versione di Todd Philips il fantasy per virare su un realismo drammatico. Per certi versi, l’autore newyorkese (classe 1970 con all’attivo diverse commedie strampalate come il remake di “Starsky & Hutch” e i tre film “Una notte da leoni”) sembra muoversi in una direzione già tracciata da Christopher Nolan nella sua trilogia “Batman. Il cavaliere oscuro” (2005-2013). Di fatto, il suo “Joker” si spinge ben oltre, componendo un quadro di denuncia nei confronti della società odierna, così distante dagli ultimi e da coloro che vivono nella precarietà, abbandonati in un limbo di angosce.
Le insicurezze sociali dell’America di oggi
Chi è Joker? Letteratura e cinema ci hanno sempre presentato questo “clown con la pistola” come uno dei più acerrimi e folli antagonisti dell’eroe Batman. Sul grande schermo diversi attori lo hanno impersonato; su tutti si ricordano la graffiante versione di Jack Nicholson e l’inquietante performance di Heath Ledger (Oscar nel 2009, postumo). Todd Philips, coadiuvato dall’assolo attoriale di Joaquin Phoenix, ha voluto raccontare la storia da un’altra angolatura, asciugando tutti gli elementi fantastici e spingendo l’attenzione sulle fratture sociali e sulle pressioni che hanno spinto il clown Joker ad abbracciare il Male.
La vicenda. Arthur Fleck (Phoenix) è un quarantenne solitario che di mestiere fa il clown tra feste ed eventi promozionali; spesso è sui marciapiedi della grande metropoli, deriso dai passanti quando non assalito. A casa ad attenderlo c’è l’anziana madre, malata e dalla salute mentale precaria. In più sistematicamente l’uomo ha incontri con una psicologa dei servizi sociali, che cura la sua depressione e fragilità emotiva. Arthur in verità vorrebbe ridere, far ridere. Il suo sogno è dedicarsi alla Stand-Up Comedy, magari andando ospite dello show televisivo di Murray Franklin (Robert De Niro). Non pochi sono però gli ostacoli sul cammino di Arthur: perde il lavoro, vengono tagliati i servizi di assistenza e affiorano traumi dal passato. Per l’uomo sembra dunque andare tutto male, non esserci scampo; si sente un rifiutato dalla società, un peso inutile e fastidioso. Esasperato, alla fine cede a se stesso e trasforma la sua maschera da clown gioioso in quella di un pagliaccio vendicativo: Joker.
Perché vedere “Joker”
Il Leone d’oro a Venezia 76 è sicuramente il primo di tanti riconoscimenti che arriveranno per il film “Joker” e il suo cast, regista e attore in testa, nel corso della stagione dei premi 2019-2020, che troverà il suo punto più alto nella notte gli Oscar.
In particolare, potrebbe essere finalmente il trionfo di Joaquin Phoenix, che dopo le riuscite performance in “Il gladiatore” (2000), “Walk the Line” (2005), “The Master” (2012) e “Her” (2012), potrebbe finalmente alzare l’ambita statuetta. La sua interpretazione di Joker è di sensazionale bravura: oltre alla trasformazione fisica, al lavoro minuzioso sulla delirante risata del clown, Phoenix è riuscito a restituire tanto la stratificazione di traumi e solitudine del personaggio quanto il suo deragliamento psicologico.
Al di là della dimensione attoriale o visiva del film – Todd Philips ha fatto un lavoro eccellente, compiendo un salto di qualità, entrando nella rosa degli autori hollywoodiani –, quello che colpisce di “Joker” è la carica di denuncia e di realismo sociale. Non un prevedibile canovaccio da fumetto, giocato schematicamente sui temi del bene e del male, ma un atto d’accusa contro la società odierna: contro la politica dello scarto, la scellerata messa ai margini di chi vive una condizione di povertà e problematicità.
Arthur per buona parte del film non è un personaggio connotato negativamente, anzi. È la figura dell’uomo solo in un mondo indifferente e respingente. Da questo punto di vista –ed è questo l’elemento di forza della narrazione – “Joker” compone un quadro di denuncia degno di un cinema di impegno civile. Ma qualcosa poi sbanda…
Cosa temere di “Joker”
Quali elementi ci mettono in allarme del film, se i presupposti sono quelli di dare voce ai chi abita ai margini della vita? “Joker” ha una potenza visiva di grande impatto. Nel corso della narrazione matura però una modalità di racconto a tesi, per cui lo spettatore arriva a una forte identificazione con il travaglio interiore di Arthur. Una soluzione pericolosissima quando l’uomo si abbandona al Male. La sua scelta di rispondere alle vessazioni subite con ferma violenza, con lucida vendetta, non ammette vie di fuga per chi guarda.
Da ciò deriva la necessità di usare molta accortezza nel proporre il film a un pubblico di minori, che non posseggono ancora tutti gli strumenti di decodifica al pari degli adulti. Nonostante la sua forza e bellezza visivo-narrativa, “Joker” è tematicamente spinoso e insidioso: il film prende una piega pericolosa, perché sembra quasi indulgere o parteggiare per la reazione violenta del protagonista. Il Male diventa così una scelta inevitabile per sopravvivere in un mondo difficile o ingiusto. E questo è rischioso. Dal punto di vista pastorale il film è da valutare come complesso, problematico e da gestire con cautela in presenza di minori.