Messa a San Pietro
Aprendo ufficialmente il Sinodo per l’Amazzonia, il Papa ha raccomandato ai 184 padri sinodali la virtù della prudenza, che “è la virtù del governo”, e ha chiesto di abbandonare la logica del “si è sempre fatto così”. No ai “nuovi colonialismi”, al fuoco che distrugge la foresta amazzonica e a causa dell’avidità “divora popoli e culture”
“La prudenza è la virtù del governo”. Il Papa ha iniziato il Sinodo per l’Amazzonia esortando, a braccio, i 184 padri sinodali a praticare quella che non è una “virtù-dogana”, ma la virtù del Pastore, l’esatto contrario della timidezza o dell’indecisione. Al centro dell’omelia della messa di apertura dell’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per la regione panamazzonica, che si svolgerà in Vaticano fino al 27 ottobre, il ritratto di una Chiesa che, sulla scorta di Paolo – “il più grande missionario”- sappia camminare insieme per affrontare le sfide più urgenti per il futuro di quello che è considerato il polmone del pianeta. Come i “nuovi colonialismi”, la cui avidità “divora popoli e culture” grazie a un “fuoco appiccato in nome di interessi che distruggono”.
Il più grande missionario. All’inizio dell’omelia, il Papa affida il Sinodo per l’Amazzonia all’apostolo Paolo, “il più grande missionario della storia della Chiesa”, che “ci aiuta a ‘fare Sinodo’, a ‘camminare insieme’”. “Siamo vescovi perché abbiamo ricevuto un dono di Dio”, spiega Francesco: “Non abbiamo firmato un accordo, non abbiamo ricevuto un contratto di lavoro. Abbiamo ricevuto un dono per essere doni. Un dono non si compra, non si scambia e non si vende: si riceve e si regala”.
“Se ce ne appropriamo, se mettiamo noi al centro e non lasciamo al centro il dono, da Pastori diventiamo funzionari”, il monito del Papa: “Facciamo del dono una funzione e sparisce la gratuità, e così finiamo per servire noi stessi e servirci della Chiesa”.
“La nostra vita, invece, per il dono ricevuto, è per servire”, ricorda il Pontefice citando l’espressione evangelica “servi inutili”, che può voler dire anche “servi senza utile”. “Significa che non ci diamo da fare per raggiungere un utile, un guadagno nostro, ma perché gratuitamente abbiamo ricevuto e gratuitamente diamo”, il commento del Santo Padre: ”La nostra gioia sarà tutta nel servire perché siamo stati serviti da Dio, che si è fatto nostro servo”.
No al “si è sempre fatto così”. “In nessun modo la Chiesa può limitarsi a una pastorale di ‘mantenimento’, per coloro che già conoscono il Vangelo di Cristo. Lo slancio missionario è un segno chiaro della maturità di una comunità ecclesiale”. Francesco cita Benedetto, che ieri ha salutato con i 13 nuovi cardinali subito dopo il Concistoro, e aggiunge subito dopo: “perché la Chiesa è in cammino, sempre in movimento, mai deve stare ferma”. “Il dono che abbiamo ricevuto è un fuoco, è amore bruciante a Dio e ai fratelli”, ricorda sulla scorta di San Paolo: “Il fuoco non si alimenta da solo, muore se non è tenuto in vita, si spegne se la cenere lo copre. Se tutto rimane com’è, se a scandire i nostri giorni è il ‘si è sempre fatto così’, il dono svanisce, soffocato dalle ceneri dei timori e dalla preoccupazione di difendere lo status quo”. “Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza”, scrive San Paolo.
“Qualcuno pensa che la prudenza è la virtù-dogana, che ferma tutto per non sbagliare. No, la prudenza è virtù cristiana, virtù di vita, anzi è la virtù del governo”.
Come insegna il Catechismo della Chiesa cattolica, la prudenza “non si confonde con la timidezza o la paura”, ma “è la virtù che dispone a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati”. “La prudenza non è indecisione, non è un atteggiamento difensivo”, precisa Francesco: “È la virtù del Pastore, che, per servire con saggezza, sa discernere, sensibile alla novità dello Spirito”. In quest’ottica, “ravvivare il dono nel fuoco dello Spirito è il contrario di lasciar andare avanti le cose senza far nulla”. Serve una “prudenza audace”, per rinnovare i cammini per la Chiesa in Amazzonia”.
Il fuoco che divora e il sapore del martirio. “Dio ci preservi dall’avidità dei nuovi colonialismi”. Nell’ultima parte dell’omelia, il Papa fa riferimenti puntuali alla condizione attuale dell’Amazzonia: “Il fuoco di Dio è calore che attira e raccoglie in unità. Si alimenta con la condivisione, non coi guadagni. Il fuoco divoratore, invece, divampa quando si vogliono portare avanti solo le proprie idee, fare il proprio gruppo, bruciare le diversità per omologare tutti e tutto”. “Quando senza amore e senza rispetto si divorano popoli e culture, non è il fuoco di Dio, ma del mondo”, il monito di Francesco: “Eppure quante volte il dono di Dio non è stato offerto ma imposto, quante volte c’è stata colonizzazione anziché evangelizzazione!”. Annunciare il Vangelo, invece, “è testimoniare fino in fondo, è farsi tutto per tutti, è amare fino al martirio”, ribadisce il Papa. E aggiunge a braccio:
“Ringrazio Dio perché nel Collegio cardinalizio ci sono alcuni fratelli cardinali martiri, che hanno saggiato, nella vita, la croce del martirio”.
“Tanti fratelli e sorelle in Amazzonia portano croci pesanti e attendono la consolazione liberante del Vangelo, la carezza d’amore della Chiesa. Per loro, con loro, camminiamo insieme”, conclude il Santo Padre, subito dopo aver citato, fuori testo, l’ invito dell’”amato cardinale Hummes” ad andare a visitare, in Amazzonia, le tombe dei missionari, che “meritano di essere canonizzati”.