Ottobre missionario
Il racconto del missionario del Pime che da 47 anni presta la sua opera in una delle regioni asiatiche più significative e cariche di tensioni. Nelle parrocchie di Hong Kong, spiega padre Milanese, “l’iniziativa pastorale e missionaria non sono distinte: la pastorale include l’attività missionaria e questa non può prescindere dal lavoro pastorale”. E non sono pochi gli atei che si convertono grazie al matrimonio…
Padre Renzo Milanese porta avanti da 47 anni una missione poco nota in una delle regioni asiatiche più significative e cariche di tensione degli ultimi anni: Hong Kong. Passata dalla Gran Bretagna alla Cina nel 1997 (a rischio di subire i diktat di Pechino), Hong Kong non è uno Stato ma una sorta di “zona franca” cinese, non democratica eppure libera, tanto da godere di uno “statuto speciale”. Negli anni è riuscita a mantenere la propria autonomia e a prosperare in un cantuccio popolatissimo della costa meridionale asiatica, tra il delta del Fiume delle Perle e il Mar Cinese Meridionale. Padre Milanese è uno dei 29 missionari del Pime che ancora vivono nella penisola ed è parroco della chiesa Madre del Buon Consiglio di Kawloon: “Eravamo una comunità consistente fino a 50 anni fa – racconta il missionario –. La diocesi di Hong Kong era affidata al Pime prima, ora ricade sotto l’amministrazione del vescovo e noi collaboriamo con lui”. La Chiesa non ha restrizioni e i missionari svolgono serenamente il loro lavoro pastorale, a servizio della Chiesa locale. “Dal punto di vista strutturale la parrocchia è uguale a quelle in Italia, ma la composizione dei nostri fedeli è molto diversa! – spiega padre Renzo –.I matrimoni tra cattolici e non credenti sono superiori all’80% ad Hong Kong e tra di loro ci sono coppie che arrivano in chiesa perché magari la parte cattolica accompagna l’altra che non ha mai sentito parlare del Vangelo”.Spesso, dopo qualche anno, alcuni chiedono di ricevere il battesimo e “noi abbiamo il catecumenato che è una tra le più importanti attività pastorali”. Nelle parrocchie di Hong Kong “l’iniziativa pastorale e missionaria non sono distinte: la pastorale include l’attività missionaria e questa non può prescindere dal lavoro pastorale”, spiega padre Milanese. “Non ci sono cose che si possono fare in prospettiva missionaria senza tener presente l’esistenza della comunità”. Il che significa che
in un Paese per lo più ateo, anche la sola routine parrocchiale consente di avvicinare chi non conosce Cristo, fino alla conversione.
“Comunicare il Vangelo avviene attraverso la quotidianità del credente che partecipa alla vita della comunità”, ci racconta.
Nei mesi scorsi, sotto la turbolenza delle proteste di massa contro la legge sull’estradizione in Cina, i missionari hanno preso posizione solo a titolo personale. Padre Renzo è sceso in piazza con i manifestanti all’inizio dell’estate, quando le masse oceaniche e pacifiche hanno invaso Victoria Park, al grido di “Hong Kong non è la Cina”. “La mancanza di fiducia nei confronti del governo e la paura della Cina era esplosa già nella seconda metà degli anni Ottanta e chi poteva andare via, se ne andava – ricorda – Ma Hong Kong da allora è molto cambiata e la sua economia è fiorita: quando sono arrivato qui, nel 1972 c’erano circa 900mila persone che vivevano nelle baracche e nelle barche, adesso i poveri non sono neanche 30mila. C’è stato un grandissimo cambiamento ed una evoluzione”. Con l’avvicinarsi del 1997 i missionari hanno fatto una scelta: “Se c’è un passaggio di consegne alla Cina, non è bene che noi, su alcune questioni, prendiamo posizione”. E così è stato: “Noi come missionari non parliamo di politica, ma sappiamo bene che la gente ha paura di perdere la libertà e noi la appoggiamo”. Il loro è un sottile lavoro a metà tra la pastorale, la difesa dei valori e il mantenimento dell’indipendenza.