Memoria e attualità
Nel 2019 si celebrano tre anniversari che hanno segnato la storia dell’Alto Adige. Il centenario del trattato di Saint-Germain, con cui si sancì, ila fine della prima guerra mondiale e il passaggio dall’Austria all’Italia del cosiddetto Tirolo cisaplino, l’attuale Provincia autonoma di Bolzano. Sono invece passati 80 anni dalle “opzioni” – in forza delle quali alla popolazione di lingua tedesca e ladina del Sudtirolo venne chiesto di scegliere se diventare cittadini tedeschi o se rimanere cittadini italiani – e 50 anni dall’approvazione del Pacchetto, lo Statuto di autonomia varato dal Parlamento italiano e accolto positivamente da quello austriaco
Diversi sono, in queste settimane, i cantieri che stanno cambiando la geografia e la viabilità nella città di Bolzano. Ma il capoluogo altoatesino, così come tutto il territorio provinciale, non è nuovo a questa realtà.
“Se guardiamo alla nostra società, possiamo dire che esistono due cantieri stabili. Uno riguarda la convivenza tra le persone, le culture e i gruppi linguistici di quanti – italiani, tedeschi e ladini – vivono da anni nella nostra provincia. Un cantiere nel quale il lavoro non finisce mai, ma c’è anche da dire che abbiamo maturato ormai una certa esperienza. Il secondo, quello che riguarda l’accoglienza dei nuovi cittadini, è molto più giovane e ci apre a una dimensione europea”. A parlare è il vescovo di Bolzano-Bressanone, mons. Ivo Muser, protagonista – sull’ultimo numero del settimanale diocesano di lingua tedesca “Katholisches Sonntagsblatt” – di un’intervista doppia con il presidente della Provincia Arno Kompatscher.
A offrire lo spunto per questo incontro sono tre anniversari che hanno segnato la storia dell’Alto Adige. Ricorre quest’anno, infatti, il centenario del trattato di Saint-Germain, con cui si sancì, il 10 settembre 1919 la fine della prima guerra mondiale e il passaggio dall’Austria all’Italia del cosiddetto Tirolo cisaplino, l’attuale Provincia autonoma di Bolzano. Quest’anno ricorrono anche gli 80 anni delle “opzioni” – in forza delle quali alla popolazione di lingua tedesca e ladina del Sudtirolo venne chiesto di scegliere se diventare cittadini tedeschi e, di conseguenza, trasferirsi al di là del Brennero, nei territori del Terzo Reich, o se rimanere cittadini italiani, integrandosi nella cultura italiana – e i cinquant’anni del Pacchetto, lo Statuto di autonomia, approvato dal Parlamento italiano tra il 4 e il 5 dicembre 1969 e accolto positivamente il 16 dicembre anche da quello austriaco.
Mons. Muser: “Dobbiamo essere grati a chi ha lavorato per la convivenza”. “Guardando a questi anniversari – afferma il vescovo Muser –
la politica, così come la Chiesa, hanno il dovere morale di non dimenticare mai le radici che hanno portato alla catastrofe della prima guerra mondiale, così come del fascismo e del nazionalsocialismo e delle opzioni.
Nel dopoguerra molto è stato fatto, sia sul fronte politico che da parte della Chiesa, per cercare di scrivere una nuova storia. E di questo dobbiamo esserne grati. Questa nostra storia ha tanti padri e madri e oggi ciascuno di noi è chiamato a mettere al servizio di questa nostra terra, così come dell’Europa e del mondo intero, la propria competenza e la propria sensibilità”. “C’è un detto – gli fa eco il presidente della Provincia Arno Kompatscher – che dice che la storia è la migliore delle maestre, ma purtroppo ha gli allievi peggiori. Siamo di memoria corta e fatichiamo a ricordare i buoni maestri della storia. Oggi ricordiamo la suddivisione del Tirolo e le Opzioni. Facciamo memoria anche del Pacchetto di autonomia, in forza del quale è stato deciso di percorrere la strada del dialogo e del compromesso. In tutto questo, però, è importante dire chiaramente che
il fascismo e il nazionalismo ci hanno portati alla distruzione.
Il Pacchetto del 1969 è stato un compromesso, non è il massimo, ma il meglio che in quel momento è stato possibile fare. La storia ci ha fatto comprendere qual era la via migliore”.
Kompatscher: “Il benessere non è tutto”. Oggi in Alto Adige c’è una buona qualità di vita. Ma questo non è sufficiente. “Sappiamo bene che il benessere e la qualità della vita non si possono equiparare alla felicità – commenta Kompatscher –. Il primo presidente della Provincia di Bolzano, Silvius Magnago, alla fine degli anni Ottanta ebbe a ricordare che egli si preoccupava perché il benessere alla fine rischiava di non fare del bene. E aveva ragione. Oggi abbiamo quasi tutto, e in abbondanza, e spesso tutto viene dato per scontato. Ma abbiamo un problema: siamo continuamente sotto pressione. E questo ci spinge, come società, a riscoprire ciò che veramente importante e essenziale nella nostra vita”.
“Siamo chiamati a guardare le persone in faccia – aggiunge mons. Muser – e a prendere a cuore i loro problemi. Questo è un compito che chiama in causa la Chiesa così come la politica. E dobbiamo riscoprire il valore della parola ‘grazie’. Non a caso, in tedesco, le parole ‘danke’ (grazie) e ‘denken’ (pensare) hanno la stessa radice.
‘Wer denkt, der dankt’, chi pensa ringrazia. Solo chi è stupido, superficiale e arrogante non ringrazia e ritiene tutto come una cosa a lui dovuta”.
Ascoltare le persone e trovare insieme la soluzione ai problemi. Ascoltare, avere a cuore e trovare insieme la soluzione ai problemi. Questo è la sfida che vede impegnate insieme la Chiesa e la politica altoatesine. “Come ha detto san Giovanni Paolo II, la via della Chiesa è l’uomo – commenta il vescovo Muser –. E
come cristiani e uomini di Chiesa dobbiamo continuamente interrogarci se siamo ci impegniamo con convinzione e dedizione, al servizio dell’uomo”.
“La politica è chiamata ad ascoltare le persone, a discutere e confrontarsi con loro, per trovare insieme delle soluzioni – aggiunge Kompatscher –, ma bisogna essere anche onesti e riconoscere che ci sono problemi che la politica da sola non può risolvere. Per questo è importante lavorare insieme. Per migliorare le cose, trovare nuove strade, creare nuove possibilità, per rendere possibile il miglioramento. A volte ci vuole il coraggio di dire che certe cose non siamo in grado di farle. Dobbiamo avere una dose maggiore di questo coraggio e di questa sincerità”.
Consapevoli delle proprie radici, rimanendo sempre aperti all’altro. Molto è stato fatto in questi decenni dalla politica e dalla Chiesa altoatesina per favorire la pacifica convivenza tra i gruppi linguistici italiano, tedesco e ladino. Un lavoro, questo, che non potrà mai dirsi concluso e che richiede sempre rinnovato impegno ed energia. Ma oggi c’è un altro cantiere di convivenza, che chiama tutti a rimboccarsi le maniche: l’accoglienza dei nuovi cittadini. “Ciò che è straniero e diverso dalle nostre abitudini ci fa paura – commenta mons. Muser –, ma
la paura è una cattiva consigliera. Sarebbe grave se la politica e la Chiesa attizzassero le paure.
Ci vogliono soluzioni coraggiose. E un linguaggio che parli di accoglienza e non di emarginazione dell’altro”. “Qui in Alto Adige ci siamo allenati in questi anni a mantenere la nostra identità e a gioire della diversità – prosegue Kompatscher –. Ma ci sono sempre nuove situazioni che ci mettono sempre di fronte al pensiero di ‘noi e gli altri’. L’arrivo dei nuovi cittadini, con le loro culture e le loro lingue, rende naturalmente tutto più complesso. Ma
non dobbiamo lasciarci trascinare dalla paura. Siamo chiamati a raccogliere la sfida dell’accoglienza. E questo nella consapevolezza della nostra cultura e delle nostre radici, rimanendo sempre e comunque aperti al rispetto della cultura dell’altro.
Certo, questa è un’arte, per cui molti guardano all’Alto Adige con un pizzico di invidia. C’è chi dice che in poche altre regioni le cose funzionano così bene come da noi. Ma noi sappiamo anche che le cose potrebbero funzionare ancora meglio”.