Anniversario
“Succede ancora. Ogni parola, ogni insulto mi coinvolge, mi preoccupa. Lascia pensare che i 6 milioni di ebrei uccisi sono morti invano. Non esiste una medicina immediata da immettere nella società, come un antibiotico, per guarire l’infezione. Purtroppo stiamo assistendo ad un male che non reagisce ad alcun antibiotico. Le parole dell’odio sono antiche, sono ripetute e sono colpa della indifferenza e dei silenzi che ci sono stati intorno alle parole dell’odio”
16 ottobre del 1943, 76 anni fa. All’alba di quel sabato nero, giorno festivo per gli ebrei, scelto appositamente per sorprenderne il più possibile, 365 uomini della polizia tedesca, coadiuvati da quattordici ufficiali e sottufficiali, effettuarono un “rastrellamento” mirato degli appartenenti alla comunità ebraica romana. Di quella giornata rimangono le grida di orrore e la paura. 1.259 persone (di cui 207 bambini) furono portate alla stazione ferroviaria Tiburtina e caricate su un convoglio composto da 18 carri bestiame. Il treno, partito alle 14.05 di lunedì 18 ottobre, giunse al campo di concentramento di Auschwitz alle 23 del 22 ottobre. Tornarono in Italia solo 15 uomini e 1 donna. La sindaca di Roma Virginia Raggi e la presidente della Comunità ebraica cittadina Ruth Dureghello hanno deposto delle corone fuori dal Tempio Maggiore. Roma non dimentica la tragedia della Shoah – ha detto Raggi – perché senza memoria non c’è futuro”.
È di soli pochi giorni fa l’attentato alla sinagoga di Halle in Germania dove sono di nuovo risuonate frasi antisemite che purtroppo non si sono mai spente. L’obiettivo del ventisettenne terrorista era di “uccidere il maggiore numero di ebrei” perché “sono il male del mondo”. Parole che cancellano in un attimo oltre 70 anni di storia e fanno pericolosamente tornare indietro in un passato oscuro che rischia di diventare presente.
“Come vuole che si senta una che è stata vittima dei discorsi dell’odio?”, dice la senatrice a vita Liliana Segre.
Di Milano, si schernisce subito. Lei non era a Roma e il ricordo le va subito alla Svizzera: quell’anno infatti, a seguito delle persecuzioni, assieme al padre e due cugini, provò a fuggire a Lugano, in Svizzera, ma furono respinti dalle autorità del Paese elvetico e lei il giorno dopo, venne arrestata e il 30 gennaio 1944 venne deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull’avambraccio.
“Dai discorsi si passa ai fatti”, ammonisce Segre. “Ho quasi 90 anni e non potrò mai dimenticare quello che è successo”. Cori antisemiti e razzisti negli stadi, manifesti pubblicati online contro gli ebrei, saluti romani ai cimiteri, atti vandalici in prossimità delle sinagoghe. “Sono fortemente provata da questi fatti”, confida la senatrice. “Succede ancora. Sono 30 anni che vado nelle scuole a raccontare che cosa è stata la Shoah. 30 anni che racconto cosa ho visto e vissuto di persona. Ho perso la famiglia. Ogni parola, ogni insulto mi coinvolge, mi preoccupa. Lascia pensare che i 6 milioni di ebrei uccisi nella Shoah sono morti invano. Mi chiedo quale sia la medicina contro questo odio. Non saprei come rispondere. Non è che esiste una medicina immediata da immettere nella società, come un antibiotico, per guarire l’infezione. Purtroppo stiamo assistendo ad un male che non reagisce ad alcun antibiotico.
Le parole dell’odio sono antiche, sono ripetute e sono colpa della indifferenza e dei silenzi che ci sono stati intorno alle parole dell’odio”.
Il 19 gennaio 2018, anno in cui ricadeva l’80° anniversario delle leggi razziali fasciste, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la nomina senatrice a vita. Ed è qui, in Senato, che Liliana Segre continua oggi la sua battaglia di civiltà. Ha presentato un disegno di legge contro l’“hate speech” e sta lavorando per istituire una Commissione parlamentare di controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza. “Per fortuna – dice – il presidente Conte l’ha calendarizzato già per il 29 ottobre. Quindi ci sarà una votazione in Senato. Cominciamo dagli stadi, da tutti i luoghi pubblici, cominciamo a colpire direttamente con multe, sanzioni, pene”. Mai più impunità, ma regole che “permettano di rendere consapevoli le persone che hanno ed esprimono con parole e azioni questo odio”.