Sesto giorno
“Judy”, del regista teatrale Ruper Goold, è un film omaggio a Judy Garland, una delle prime dive di Hollywood, cui dà volto e voce il Premio Oscar Renée Zellweger
Sesto giorno alla 14ª Festa del Cinema di Roma. Martedì 22 ottobre occhi puntati su “Judy” del regista teatrale Ruper Goold, film omaggio a Judy Garland, una delle prime dive di Hollywood, cui dà volto e voce il Premio Oscar Renée Zellweger. Il punto con il Sir e la Commissionale valutazione film della Cei.
Il “Viale del tramonto” di Judy Garland. Il progetto del film “Judy” nasce inizialmente dal teatro, dal dramma “End of the Rainbow” di Peter Quilter, raccontando il viale del tramonto della diva del cinema hollywoodiano classico Judy Garland, famosa per tutti come la Dorothy del “Mago di Oz” (1939). Ora l’opera arriva sul grande schermo con la regia di Ruper Goold e la sceneggiatura di Tom Edge, impreziosito dalla potente interpretazione di Renée Zellweger, versatile attrice statunitense apprezzata per “Jerry Maguire” (1996), “Il diario di Bridget Jones” (2001), “Chicago” (2002) e “Ritorno a Cold Mountain” (2003), film che le permette di vincere l’Oscar come attrice non protagonista.
“Judy”, la storia: siamo nel 1968 e Judy Garland, ormai quasi cinquantenne, non ha più il grande seguito di una volta. È una donna segnata da fragilità e da tormenti sentimentali, preoccupata anche per la custodia dei suo due bambini. Sull’orlo della disperazione la Garland decide di accettare la proposta di uno show live a Londra. Siamo negli anni briosi della Swinging London e il film ci propone Judy tra la preparazione dello spettacolo con momenti di brio e umorismo brillante, costellati anche da smarrimenti e stati d’ansia. Tutto sembra però scomparire quando Judy calca le assi del palcoscenico, intonando le sue canzoni, ricambiata da applausi fragorosi. A margine non mancano le tensioni con i manager e il viavai di sbandamenti sentimentali, per il giovane Mickey Deans, che diventa il suo quinto marito. Nella narrazione irrompono poi istantanee dal passato, i ricordi dei momenti più importanti e luminosi della sua carriera a comincia da “Oz”.
Gloria e oblio a Hollywood. Con “Judy”, Hollywood rilegge il suo mito e le sue colpe. Da un lato l’opera racconta i fasti e l’ascesa di una giovane ragazzina, al secolo Frances Ethel Gumm e in arte Judy Garland, nell’Olimpo dell’industria cinematografica americana e mondiale, onorata sin da subito dall’Oscar giovanile e poi da altri riconoscimenti. Tra i titoli in primo piano ci sono “Il Mago di Oz” del 1939, seguito da “Incontriamoci a Saint Louis” del 1944 di Vincente Minnelli (uno dei suoi mariti, legame da cui nasce l’attrice Liza Minnelli) ed “È nata una stella” (1954) di George Cukor.
Andando verso i quarant’anni Hollywood si dimentica frettolosamente della grandezza della Garland, proponendole sempre meno film. Negli anni ’60 si ricordano principalmente “Vincitori e vinti” (1961) di Stanley Kramer, “Gli esclusi” (1963) di John Cassavetes e “Ombre sul palcoscenico” (1963) di Ronald Neame. Dal punto di vista personale, Judy Garland vive momenti altalenanti, attraversando cinque matrimoni, segnati da insicurezza e depressione ricorrenti, cui si aggiungono eccessi di alcolici e farmaci.
Racconto in chiaroscuro con una Zellweger da premio. Accostandosi a un nome fin troppo noto e ingombrante della storia del cinema, il film “Judy” poteva apparire alle prime battute pretenzioso e impalpabile. In verità, l’opera si risolve con un ritratto asciutto e realistico, che mescola bene sguardi duri e poetici. Il copione è ben scritto, abile nel focalizzare l’attenzione sull’epilogo della Garland, morta all’età di soli 47 anni, così come ad allargare l’orizzonte del racconto, grazie a una regia presente e capace: non si tratta semplicemente di un biopic dolente e sofferto, ma è un film che offre squarci di luce e adrenalina da palcoscenico.
Va ricordato che Judy Garland era una grande artista poliedrica, che coniugava con disinvoltura recitazione, canto e ballo. In questo Renée Zellweger regala una grande prova d’attrice, mettendosi in gioco in ogni stile. Inoltre, lavora molto a livello introspettivo, facendo trasparire sul proprio volto i segni della sofferenza e i tormenti, il logorio del tempo che toglie smalto al mito; un viso però su cui si illuminano ripetutamente occhi vivaci, accesi di fiducia. Che sia un ritorno in grande stile per la Zellweger alla notte degli Oscar, quella del 2020? Noi lo speriamo.
Il film è un prodotto ben fatto e godibile, che alterna in maniera equilibrata passaggi drammatici a raccordi di umorismo raffinato. Non un film patinato, bensì uno sguardo attento e complesso sulla donna, sulla diva, Judy Garland. Dal punto di vista pastorale l’opera è da valutare come consigliabile, problematica e adatta per dibattiti.