Rapporto
Nel rapporto “Italiani nel mondo”, presentato questa mattina a Roma, l’organismo pastorale della Cei segnala che nel 2018 hanno registrato la loro residenza fuori dei confini nazionali 128.583 italiani, 400 persone in più rispetto all’anno precedente. Negli ultimi 13 anni la mobilità italiana all’estero è aumentata del 70,2%. Il segretario generale della Cei, mons. Russo: “Costruire comunità aperte alle differenze”. Il ministro Provenzano: “Un piano per il Sud per rilanciare le aree interne”
Giovani tra i 18 e i 34 anni con almeno una laurea, provenienti soprattutto dal Nord Italia. La Fondazione Migrantes ha ricostruito il profilo degli italiani che hanno lasciato il Paese, nell’ultimo anno, per andare a vivere e lavorare all’estero. Nel rapporto “Italiani nel mondo”, presentato questa mattina a Roma, segnala che nel 2018 hanno registrato la loro residenza fuori dei confini nazionali 128.583 italiani, 400 persone in più rispetto all’anno precedente. In pratica, è come fosse sparita in un solo anno una città come Sassari. “Il numero di partenze è uguale a quello del 2017, ma il problema è che la mobilità italiana è diventata un dato strutturale – ha evidenziato la curatrice del rapporto Delfina Licata –. Da quattro anni sono oltre 100mila gli emigranti registrati ogni anno, da due anni sono oltre 128mila. Perdiamo cittadini italiani che finiscono con l’arricchire i luoghi in cui si trasferiscono”. Allargando lo spettro della ricerca, emerge un altro dato. Dal 2006 al 2019 – si legge nel report –, la mobilità italiana all’estero è aumentata del 70,2%. In pratica, il numero degli iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) negli ultimi 13 anni è passato, in valore assoluto, da poco più di 3,1 milioni a quasi 5,3 milioni. Prendendo come riferimento gennaio 2019, sono 5.288.281 i cittadini italiani residenti all’estero, l’8,8% del numero degli italiani.
Il profilo degli italiani emigrati all’estero. Quasi la metà degli iscritti all’Aire è originaria del Meridione d’Italia (48,9%), mentre nell’ultimo anno è soprattutto il Nord ad aver perso cittadini. Si tratta soprattutto di uomini e di persone con un’età compresa tra i 35 e i 49 anni (il 23,4%). Oltre 2,8 milioni (54,3%) degli emigrati risiedono in Europa, oltre 2,1 milioni (40,2%) in America. Nello specifico, però, sono l’Unione europea (41,6%) e l’America Centro-Meridionale (32,4%) le due aree continentali maggiormente interessate dalla presenza dei residenti italiani. Le comunità più consistenti si trovano in Argentina (quasi 843mila), in Germania (poco più di 764mila) e in Svizzera (623mila). Nell’ultimo anno, la meta più scelta dagli emigrati italiani risulta essere il Regno Unito, con oltre 20mila iscrizioni (+11,1% rispetto all’anno precedente). “La Brexit, per molti, sarà una grossa difficoltà – ha avvertito il presidente della Fondazione Migrantes, mons. Guerino Di Tora –. Non solo per la normalizzazione delle documentazioni ma anche per richiedere i permessi di soggiorno”. “Considerando però i numeri contraddittori sulla reale presenza di italiani sul suolo inglese si può pensare che molte di queste iscrizioni siano, probabilmente, delle ‘regolarizzazioni’ di presenze già da tempo in essere, ‘emersioni’ fortemente sollecitate anche dalla Brexit che ha provocato molta confusione nei residenti stranieri nel Regno Unito”, spiega il rapporto.
Le ragioni dell’emigrazione. A spingere tanti giovani a lasciare l’Italia è soprattutto l’esigenza di trovare un’occupazione o un lavoro all’altezza delle loro aspettative. Lo conferma il presidente della Fondazione Migrantes.
“Tanti giovani, con un elevato livello di istruzione, non trovano lavoro o trovano solo possibilità di lavoretti – ha detto mons. Di Tora –. Sentendo che all’estero c’è una maggiore facilità di impiego, emigrano con la speranza di trovare situazioni migliori. Allo stesso modo, altri giovani vanno via per motivi di studio. Tante università offrono possibilità di scambi”.
Un tema sul quale anche le Acli hanno effettuato delle ricerche che hanno portato a una conclusione. “All’estero è più facile che i ragazzi abbiano non solo un lavoro ma una carriera. In Italia anche con un titolo di studio elevato si rischia di essere inquadrati con qualifiche inferiori”, ha spiegato il presidente Roberto Rossini, che ha evidenziato un ulteriore problema. “La mobilità sociale in Italia è prossima allo zero. Un lavoratore su tre nel nostro Paese è disposto a perdere qualcuno dei propri diritti pur di mantenere il proprio lavoro. All’estero il rapporto è di uno su dieci. Questo perché negli altri Paesi vi è un lavoro meno ricattabile”. Il presidente delle Acli ha segnalato anche lo spostamento di “giovani che vivono come coppie di fatto con figli o senza figli”. “Si rileva uno spostamento delle famiglie all’estero”.
Gli aiuti per gli emigrati. Il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Stefano Russo, ha guardato a quello che è possibile fare per chi ha lasciato l’Italia per andare a vivere all’estero.
“Non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di costruire comunità che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperte alle differenze e sappiano valorizzarle”.
Comunità dove “il senso di appartenenza viene modificato e mai cancellato, dove ogni persona possa sentirsi di appartenere non in modo esclusivo, ma possa dare un contributo e, allo stesso tempo, ricevere collaborazione”. L’attenzione delle Acli per queste persone è rivolta a come “accompagnarle all’estero”. Rossini ha indicato una strategia adottata. “Abbiamo una sede a Parigi dove opera uno psicologo. Questo perché non è necessario solo un accompagnamento dal punto di vista burocratico, ma anche psicologico”.
Le conseguenze dell’emigrazione. Milano e Roma sono le città metropolitane che, secondo il rapporto, hanno pagato il prezzo più alto in termini di cittadini persi. Ma la Fondazione Migrantes indica anche il grande impatto che questo fenomeno ha avuto sui Comuni più piccoli. Da Castelnuovo di Conza, in provincia di Salerno, è emigrato negli anni il 480% della popolazione attuale, mentre a Carrega ligure (Alessandria) il 348% e ad Acquaviva Platani (Caltanissetta) il 264%. “La migrazione non è una scelta ma una necessità – ha evidenziato Licata –. Crediamo che la mobilità sia qualcosa di positivo, ma che c’è un diritto a restare. Bisogna avere una possibilità di scelta. Perché ci siano radici che non si spezzano”.
Gli interventi per il Sud. Per frenare il fenomeno migratorio verso l’estero, il Governo sta studiando un Piano per il Sud. Il ministro per il Mezzogiorno e la coesione territoriale, Giuseppe Provenzano, ha annunciato “interventi nelle aree interne, nelle campagne deindustrializzate”.
“Lì bisogna attuare maggiori politiche di sviluppo, garantire servizi e una possibilità di occupazione che consenta ai giovani di costruire un futuro in quei territori”.
Ricordando che “nella legge di bilancio abbiamo anticipato alcune misure che servono all’impresa e all’industria”, il ministro ha evidenziato che ci sarà un “piano per il Sud” che “l’accompagnerà” e “sarà pronto entro fine anno”. “Riavvierà non solo la possibilità di programmare nuovi investimenti ma, soprattutto, di realizzarli. La sfida non è tanto mettere risorse in bilancio ma spendere bene quelle previste”. Sono cinque le direttrici indicate dal ministro: la lotta alla povertà educativa e minorile; le infrastrutture sociali; rafforzare al Sud il modello di sviluppo degli investimenti green; puntare sullo sviluppo tecnologico e guardare al Mediterraneo “non come un mare di morte ma come un mare di opportunità”. Stimando il “costo sociale” delle emigrazioni dei giovani, Provenzano considera “una perdita negli ultimi dieci anni di 30 miliardi pagata dal Mezzogiorno”. “È un’emigrazione diventata più precoce per la mancata possibilità offerta ai giovani di sentirsi protagonisti di un processo di cambiamento e per la mancanza di possibilità di lavoro”.