Politica
Anche il secondo governo Conte, nato meno di due mesi fa, comincia a scricchiolare a motivo delle tante fragilità che lo caratterizzano, prima fra tutte la diversità di vedute sui vari problemi del Paese. Nell’ultimo vertice di maggioranza, svoltosi lunedì scorso, le varie anime che compongono il governo – Cinque Stelle, Partito democratico, Liberi e uguali e Italia viva – hanno trovato sulle materie del contendere, la classica intesa: rinviamo ogni decisione. D’altra parte lo spettro delle elezioni – con l’Umbria si apre un lungo ciclo elettorale – suggerisce di evitare ogni rischio
Anche il secondo governo Conte, nato meno di due mesi fa, comincia a scricchiolare a motivo delle tante fragilità che lo caratterizzano, prima fra tutte la diversità di vedute sui vari problemi del Paese. Nell’ultimo vertice di maggioranza, svoltosi lunedì scorso, le varie anime che compongono il governo – Cinque Stelle, Partito democratico, Liberi e uguali e Italia viva- hanno trovato sulle materie del contendere, la classica intesa: rinviamo ogni decisione. D’altra parte lo spettro delle elezioni – con l’Umbria si apre un lungo ciclo elettorale – suggerisce di evitare ogni rischio. A parte il diverso clima che si respira – si è passati dalle continue dichiarazioni di guerra di Salvini, all’eccesso di conciliazione di Zingaretti- sul piano dell’efficacia ci troviamo in continuità con il governo precedente. E cosi, il Paese passa, con disinvoltura, da un governo all’altro, tra problemi risolti e altri da risolvere, dando vita ad un’instabilità politica, frutto della facilità con cui le maggioranze di governo si scompongono e si ricompongono, che costituisce, da sempre, una delle principali cause della nostra mancata crescita. Dalla nascita della Repubblica (1946) si sono formati quasi settanta governi, mediamente uno l’anno. Ci sono stati governi che sono durati, addirittura, qualche mese e altri – pochissimi- che non sono andati oltre i tre anni. Se si pensa che la legislatura, per legge, deve durare cinque anni e che, secondo una sana concezione della politica, ogni legislatura dovrebbe avere un solo governo, si comprende come l’instabilità rappresenti la vera anomalia dell’Italia. I nostri governi non solo durano poco, ma realizzano anche poco, con gravi conseguenze per lo sviluppo economico e sociale. Un governo non fa a tempo a stilare un programma, che già si trova in crisi; e il governo che subentra, non sempre onora gli impegni presi da quello precedente. Non stupisce, allora, che dal marzo del 2018, nascita di questa diciottesima legislatura, si siano già avuti due governi: il Conte primo e il Conte secondo. Due governi nati da compromessi raggiunti da forze fra loro antagoniste: più concezioni sul modello di Stato e diversi programmi da attuare. Quale compatibilità ci può essere, solo per fare qualche esempio, fra il movimento 5S, nato per “demolire” la casta, per “fermare la povertà” per dare all’Italia una stagione di “onestà” e la Lega che sembra essere tollerante verso tutti eccezion fatta per chi bussa alle nostre porte (debole con i forti e forte con i deboli)? E quale compatibilità ci può essere fra il Partito democratico, primo bersaglio dei Cinque stelle e i grillini? Non c’è un solo provvedimento fra quelli realizzati dai vari governi a guida PD – lavoro, pensioni,economia, banche, giustizia e via di seguito – che non sia stato oggetto di lotta da parte del partito di Di Maio. Due partiti, due visioni della politica e della società, esasperati dallo spirito di competizione. Due formazioni, interessate, entrambe, a cavare voti dallo stesso serbatoio (l’area di centro sinistra). Perché dovrebbero litigare se, in linea di massima, sono d’accordo su tutto? Hanno varato un programma di governo fatto di pochi e ambiziosi obiettivi: lotta all’evasione, emersione dell’economia sommersa e risanamento del debito pubblico. Come può essere che a fronte di siffatti progetti, trovino il pretesto per litigare sulle questioni marginali? Sono d’accordo sulle manette agli evasori, ma si dividono, poi, sull’utilizzo delle carte di credito. Ovviamente si tratta di un pretesto per mostrare agli elettori che nessuna formazione politica vuole prendere lezioni dall’altra. Ma ancor più, è il segnale che le intese, più che condivise, sono state subite, principalmente, per evitare le elezioni. In più, per talune formazioni, più che una prova di forza, si tratta di manifesta debolezza. Si auspica quindi che nel governo e nelle forze che lo compongono, prevalga, da qui alla conclusione della legislatura, il buon senso e la saggezza fra tutti coloro che dichiarano di volere operare per il bene del Paese.
(*) direttore de “La Vita diocesana” (Noto)