Fine vita
Sette i posti letto, in convenzione con l’azienda Ulss 6, in questa struttura aperta a tutti in modo incondizionato. All’interno operano 21 professionisti affiancati da due medici, una psicologa, un sacerdote e due suore dell’ordine delle Terziarie francescane elisabettine
Una casa per accompagnare le persone nelle ultime fasi della loro vita. Nata nel 1994 per accogliere i malati di Aids, dal 2006 casa Santa Chiara ha aperto le sue porte ai malati oncologici in fase terminale. 7 i posti letto, in convenzione con l’azienda Ulss 6, in questa struttura aperta a tutti in modo incondizionato. All’interno operano 21 professionisti affiancati da due medici, una psicologa, un sacerdote e due suore dell’ordine delle Terziarie francescane elisabettine. Suor Chiara e suor Lia non vivono nella casa ma ci passano molta parte del loro tempo. Nei loro sguardi e nelle loro parole si respira aria di un pratico infinito: “Quando arriva un nuovo ospite accogliamo la persona e la famiglia, perché in hospice arrivano tutti e due, uno per un verso, uno per l’altro – spiegano insieme – quindi ci prendiamo cura di chi soffre ma anche di chi gli sta accanto. Un lavoro in sinergia, fatto tante volte solo di sguardi e intese”.
Se il dolore fisico è la grande sfida, la giornata di chi opera in casa Santa Chiara trascorre con le “antenne” ben ritte.
“Consapevoli che la parte clinica del malato è garantita e seguita immediatamente – raccontano le due elisabettine – facciamo grande attenzione alla sfera spirituale. Se accanto al malato c’è una mamma, un marito, una moglie, un figlio, il dolore è totale. Lo ‘stare male’ di cui si lamentano i nostri ospiti è uno stato di sofferenza legato al sentire che la vita e le energie se ne vanno. Una persona tecnicamente non sa che sta morendo, ma matura una consapevolezza delle tappe che qualcuno riesce anche ad esplicitare. Noi abbiamo poco da fare e molto da stare, per usare un gioco di parole”. L’ingresso in Casa Santa Chiara è regolato da una convenzione stipulata con l’Azienda Ulss 6. Sette posti di hospice e sette per i malati di Aids, liste d’attesa gestite dal Cot, la centrale operativa territoriale dell’azienda. Attualmente stanno aspettando un posto quindici persone. “Spesso i familiari – precisano suor Chiara e suor Lia – accompagnano il loro caro con un senso di colpa per non essere riusciti a tenerlo a casa, soprattutto se si tratta di persone giovani. Qui però si riesce a vivere la ricchezza della relazione anziché doversi occupare di tutta la parte medica e infermieristica che alimenta grande ansia e preoccupazione. In questo momento i nostri ospiti hanno tra i sessanta e gli ottant’anni, ma abbiamo avuto un periodo con persone molto giovani”.
Un accompagnamento discreto e non confessionale, nonostante la presenza delle due suore e del sacerdote. “Non proponiamo l’unzione degli infermi – raccontano suor Chiara e suor Lia – per non invadere una sfera personale. Sono le persone a chiederla.
Siamo molto attente alla dimensione della spiritualità e lo è anche il sacerdote che opera con noi.
Le persone la esprimono in molti modi. Abbiamo avuto giramondo che hanno fatto una vita di viaggi approcciandosi alle religioni orientali, persone senza fissa dimora, alcune badanti straniere che non avevano alcun familiare vicino. Nell’accoglienza privilegiamo, e questo è scritto nella convenzione, persone senza rete sociale o con una rete sociale insufficiente”. Un lavoro di relazione che chiede molto anche agli operatori, che per questo ogni due settimane si incontrano con una psicologa/psicoterapeuta per una supervisione.
I ricordi di suor Chiara e suor Lia vanno ai volti di tante persone, ognuna delle quali ha lasciato un segno: un ospite che ha voluto ricevere l’unzione degli infermi con tutta la famiglia e con la figlia che aveva appena fatto la prima comunione, una donna che ha chiesto di pregare con lei perché non ricordava le parole, la pietà ricca di simboli dipinta nella loro chiesa da un malato.
Più della morte fa paura il dolore.
“La morte è un passaggio che distilla la vita – concludono suor Chiara e suor Lia – e ci porta ad affidarci. Ogni situazione è una palestra. Quello che si teme è il dolore. Se il familiare vede il suo caro dormire nel letto non desidera che se ne vada. La sofferenza fisica è insopportabile da affrontare e si desidera porvi fine. Su questo tema i dubbi etico-morali sono tanti. Si vivono momenti delicatissimi che noi cerchiamo di superare con il dialogo continuo con la famiglia, informando e parlando molto con il paziente, se è in grado, e con chi gli è accanto”.
(*) “La Difesa del Popolo” (Padova)