Economia
Molti mettono in contrapposizione eticità e utili aziendali e per questo sarebbero disposti a rinunciare a rendimenti pur di avere produzioni meno nocive. Proprio i numeri mostrano che, in un numero crescente di casi, si può far convivere utili continuativi e rispetto delle persone e del pianeta
In modo confuso, anche contraddittorio in alcuni passaggi, le famiglie italiane stanno inviando un messaggio di maggiore attenzione ai loro consumi e ai loro risparmi. Si compra meno compulsivamente, così come il massimo rendimento del proprio denaro non è l’unico obiettivo da raggiungere. Non si riesce ancora bene a capire quanto l’attenzione alla spesa sia frutto dell’incertezza (quando si vede buio si risparmia) e quanto di un cambio culturale che recupera un passato fatto di cura e riparazione dei beni e riflessione sui tempi di sostituzione; cui si aggiunge una sensibilità nuova alla maggior circolazione delle merci (riciclo, usato, condivisione).
Nel risparmio non si è persa la capacità di mettere da parte e, nello stesso tempo, si ha paura di mettere i soldi da qualche parte che non sia il conto corrente. Si sta fermi e si tiene troppa liquidità che non rende più. Anzi, parte dello sforzo della famiglia viene eroso.
Se li si interroga in un sondaggio a campione, come ha fatto fra settembre e ottobre Ipsos per l’Acri (l’associazione che raccoglie le Fondazioni di matrice bancaria e la Casse di risparmio Spa), gli italiani esprimono un mutamento forse ancora embrionale ed emotivo.
Fra paure e maggiore consapevolezza di spesa, il 42% delle famiglie riesce a risparmiare.
Non è cosa da poco in un’economia ferma. Gli stili di vita rimangono poco esposti al sovraindebitamento, cioè quell’insieme di prestiti piccoli o grandi nessuno dei quali singolarmente ingestibile e che sommati finiscono per soffocare le entrate. Non si riduce la fascia di famiglie in difficoltà, tante sono sotto la soglia di sopravvivenza o sono preda delle grandi povertà. A fatica la maggioranza dei nuclei sembra tenere il passo e l’improvvisa sostituzione di un bene (auto ed elettrodomestico a fine ciclo di efficienza) viene definita “gestibile”.
Permane nella cultura finanziaria media delle famiglie italiane un comportamento di prudenza da ex Paese povero, di matrice rurale, legato alla fisicità del denaro e poco propenso ad assumere un rischio finanziario. La saggezza ha un suo risvolto negativo nella scarsa propensione agli investimenti, alla pianificazione del nucleo familiare che nei decenni avrà bisogno prima di istruzione, poi protezione assicurativa e tutela della salute con supporto negli anni di maggior fragilità. Tanta attenzione al “non spendere troppo” rassicura almeno fino al pianerottolo di casa. Quando si passa dalla soddisfazione per il micro di casa al macro della situazione economica generale emerge la gran paura del futuro, come coda di crisi passate e il rischio di altre cadute dell’economia e dell’occupazione.
Non è la prima volta che le rilevazioni – e la ricerca presentata in occasione della Giornata del Risparmio che riunisce Acri, Banca d’Italia, ministero delle Finanze e Abi ne è la conferma – sottolineano la fortissima tendenza a mantenere la liquidità in conto corrente come sfiducia nel futuro. Gli italiani, anche quelli senza affanni, giocano prevalentemente in difesa.
Stiamo parlando di circa 1.300 miliardi che non vanno neppure sui titoli di Stato, sui titoli postali o altri prodotti finanziari a basso rischio. Restano a disposizione come se dovessero essere ritirati da un momento all’altro e non entrano in circolo per l’economia. Dal punto di vista del risparmiatore è una contraddizione perché maturano interessi risibili che vengono “mangiati” da una pur debole inflazione. Ipsos, che ha condotto le ultime 19 rilevazioni, indica una lettura possibile. “Le preoccupazioni future, come motivazione del risparmio, salgono dal 37 al 48% mentre rimane stabile al secondo posto, con il 26%, la volontà di risparmiare per un progetto futuro. Il risparmio viene tesaurizzato ancora in gran parte in liquidità vuoi per una ridotta facilità di trovare un investimento ideale, vuoi per la diffidenza verso norme e istituzioni che lo tutelano”. Gli italiani – è la tesi – si autoassicurano tenendosi liquidi. Sono impauriti dalle crisi bancarie e da qualche scandalo finanziario. Tanta liquidità potrà ridursi – ed è una novità importante – con la crescente attenzione per gli investimenti responsabili, con forte attenzione alle risorse e alle ricadute ambientali. Tre quarti del campione ne ha sentito parlare senza avere un’idea precisa. Sembra piacere la grande speranza di un movimento diffuso in grado di condizionare, da consumatore o investitore, il comportamento delle aziende. Anche il percorso di sensibilità ha bisogno di uscire dall’emozione ed entrare nei numeri. Molti mettono in contrapposizione eticità e utili aziendali e per questo sarebbero disposti a rinunciare a rendimenti pur di avere produzioni meno nocive. Proprio i numeri mostrano che, in un numero crescente di casi, si può far convivere utili continuativi e rispetto delle persone e del pianeta.