2 novembre

Commemorazione dei defunti. Don Epicoco: “Un misterioso Wi-Fi ci tiene uniti in una chiamata alla vita eterna”

Non una giornata di lutto ma di luce che ci ricorda il destino cui siamo chiamati. Il 1° e il 2 novembre toccano la nostra umanità e non sono scollegati perché il loro legame affonda in Dio. Parola del teologo Luigi Maria Epicoco

Come ogni anno il passaggio tra ottobre e novembre è segnato dal susseguirsi della festa di Ognissanti e della Commemorazione dei defunti. Quest’ultima ci costringe a fare i conti con il grande tema della morte. E’ vero, la speranza cristiana ci assicura che nessuna vita è perduta, che dopo la morte ogni persona che abbiamo amato è nelle mani di Dio, ma il distacco è doloroso, a volte crudele. Il 2 novembre è allora una giornata di lutto o di luce? Perché la Chiesa dedica un giorno al ricordo di tutti i santi, e il successivo al ricordo di tutti i morti e ci invita a pregare per loro? Lo abbiamo chiesto a don Luigi Maria Epicoco, teologo, filosofo e preside dell’Istituto superiore scienze religiose “Fides et Ratio” Issr de L’Aquila.

 

Qual è il significato della Commemorazione dei defunti?
La prima vera chiave di lettura consiste nel ricordarci che questa giornata è preceduta dalla festa di tutti i santi. Tutti i santi e tutti i morti: due giornate profondamente connesse perché possiamo affrontare il tema della morte soltanto se abbiamo chiaro qual è il nostro destino, ossia la meta verso la quale stiamo andando. La commemorazione dei defunti è allora un ri-cordare; sia nel senso stretto del termine, ossia un riportare al cuore chi abbiamo amato, sia nel richiamare alla mente che la nostra vita ha una profondità di destino che va oltre lo spazio e il tempo di ciò che facciamo ogni giorno.

E’ una chiamata alla vita eterna

perché è questa la chiave di lettura della nostra esistenza. Un fondamento senza il quale saremmo costretti a vivere cose troppo piccole per poter definire la nostra vita veramente umana.

Che cos’è che rende una vita umana?
Perché dovrebbe valere la pena amare qualcuno, mettere al mondo un figlio, sacrificarsi per costruire qualcosa di buono se tutto andasse a finire nel nulla? La giornata odierna ci rammenta invece che la morte umanizza la vita. Tutto ciò che viviamo sulla terra è precario ma non inutile: ad illuminarlo di significato è proprio la prospettiva della vita eterna.

Sì, ma la morte di chi si ama è uno strappo dolorosissimo. Ne sa qualcosa lei che ha vissuto la tragedia del terremoto de L’Aquila nel quale hanno perso la vita 54 ragazzi che lei conosceva bene… Che parola si può dire di fronte a queste morti assurde?
Dobbiamo evitare la tentazione di credere che esista un pensiero grande, in grado di poterle spiegare.

La morte è una realtà di fatto e noi possiamo semplicemente incontrarci o scontrarci con essa.

Non esistono un pensiero, una filosofia e tantomeno una teologia che possano evitarci questo impatto. Gesù stesso nell’orto degli ulivi lotta con la morte, il suo spirito è pronto ma la carne è debole; in Lui qualcosa resiste all’idea della morte e chiede al Padre di cambiare, se possibile, le carte in tavola. Noi siamo nati con una vocazione alla vita, per noi la morte e innaturale…

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Soprattutto la morte di un figlio, una voragine che stende un sudario di ghiaccio sui genitori e sembra inghiottire il passato e il futuro…
E’ la tragedia più grande che possa sconvolgere la vita di un genitore, nulla è più crudele che il dover sopravvivere al proprio figlio. Soprattutto per una mamma la cui vita è come bloccata. Da quel momento non riesci più ad andare avanti: ciò che era la ragione di vita diventa ragione di morte. Qui le parole non servono; sono anzi percepite come bestemmie. Nel Vangelo, oltre al miracolo della resurrezione, Cristo “va” verso queste persone sofferenti, “si mette in cammino” con loro e ne condivide la sofferenza. Dobbiamo essere certi che

un figlio “perduto” non è rimasto indietro ma ci ha sorpassato nella corsa verso la vita eterna, è avanti a noi e ci attende.

Solo questa consapevolezza può provocare uno scatto che sblocchi lo stallo di chi sta vivendo un dolore così straziante. La morte è un passaggio che ci tira fuori dalla nostra dimensione fisica. Da chi abbiamo amato ci separano lo spazio e il tempo, ma

la comunione che sperimentiamo va oltre la nostra carne,

è qualcosa di molto più profondo. Non possiamo toccarle, ma queste persone sono con noi e in noi. Una comunione dei santi che viviamo concretamente il 1° e il 2 novembre. Ognissanti ci richiama al destino cui siamo chiamati, il giorno della commemorazione dei defunti è

la scoperta di un misterioso Wi-Fi che ci tiene uniti,

una connessione che nasce dall’amore che ci unisce così intimamente ai nostri cari che neppure la morte può separarci da loro.

Amore e sofferenza. Fanno rima?
L’amore può farci soffrire ma è l’unico modo per essere felici. Il dolore dobbiamo imparare ad accoglierlo; a volte ci toglie tutto e ci costringe a tornare all’essenziale ma è un alfabeto attraverso il quale impariamo ad amare veramente e sul quale si gioca la nostra umanità.

La sofferenza redime?
Soltanto se vissuta per amore. Se subita, è l’inferno.