Analisi
Il travaglio politico che attraversa la democrazia britannica in vista del “divorzio” dall’Ue conferma anche le distanze storiche tra l’isola e il resto del continente. Ora Westminster ha deciso per elezioni anticipate; poi, nel 2020, dovrebbe arrivare la Brexit. Ma le conseguenze di tale decisione, certamente rilevanti, e l’avanzare del processo di globalizzazione, potrebbero portare a un futuro riavvicinamento
Ci sono molte ragioni che si possono tirare in ballo per dispiacersi del fatto che la Gran Bretagna stia lasciando l’Unione europea. Ma il dispiacere di alcuni si confronta con la soddisfazione di altri. Dipende dall’immagine che si ha dell’Unione europea. Dovrebbe essere più ampia possibile dal punto di vista geografico o dovrebbe comprendere solo i Paesi le cui culture politiche sono le più altamente compatibili per rendere possibile l’unità politica?
La domanda ricorda i dibattiti degli anni Sessanta, quando si discuteva se si dovesse accogliere la Gran Bretagna nell’allora Comunità europea. La discussione aveva trovato la sua conclusione con la decisione del presidente francese, il generale Charles de Gaulle, categoricamente contrario all’ingresso del Regno Unito, poiché riteneva i britannici troppo orientati verso gli Stati Uniti d’America; vedeva mancare in loro la necessaria solidarietà con l’Europa.
Questo pregiudizio è stato poi superato e sostituito da un altro pregiudizio, questa volta a favore del Regno Unito, a cui veniva riconosciuto di essere stato patria della democrazia e del parlamentarismo, e quindi di aver contribuito a far sì che questi valori andassero a beneficio anche dei Paesi della Comunità europea. Questa col tempo si è rivelata purtroppo un’illusione. Ai britannici interessavano soprattutto i vantaggi materiali che l’appartenenza avrebbe portato. Hanno invece ritenuto una imposizione ogni sforzo richiesto per sviluppare la Comunità e poi l’Unione in una comunità politica con istituzioni democratiche.
Chiunque abbia seguito i dibattiti al Parlamento britannico quest’anno – compresi gli ultimi sviluppi che hanno portato a un rinvio del recesso dall’Ue e alla decisione di elezioni anticipate a dicembre – avrà capito che il nodo principale nelle aspre controversie sull’uscita dall’Unione europea è stato la difesa della sovranità del Regno Unito. Nemmeno chi difende il “remain” nell’Ue parla dell’ideale dell’unificazione dell’Europa, o della solidarietà europea o del progetto di pace, ma principalmente delle implicazioni economiche e finanziarie della Brexit.
Non sono solo le forme e i rituali così estranei a distinguere la vita parlamentare e democratica della Gran Bretagna da quelle del continente, ma anche i contenuti del discorso politico. Ci sono due mondi diversi che si confrontano. Contro una tale affermazione si potrebbe però sostenere che lo stesso Regno Unito è diviso e che metà degli inglesi è contraria alla Brexit. Questo dà speranza per il futuro, dal momento che non si può escludere che tra 10, 20 o 50 anni, forse prima o forse più tardi, la situazione cambi e gli inglesi tornino nell’Unione europea. A ciò probabilmente contribuirà una crescente globalizzazione, nonché il confronto tra lo sviluppo dell’Unione europea da un lato e della Gran Bretagna dall’altro.
Per il momento, se non cambiasse nulla, la situazione potrà risolversi solo con la separazione. Negli Stati Uniti d’America, la secessione degli Stati del sud da quelli del nord ha originato una guerra civile, che ha poi portato alla riunificazione. La guerra di secessione americana è stata, nel suo svolgersi e nei suoi esiti, di grande importanza per lo sviluppo dei moderni Stati Uniti. In Europa, per fortuna, tutto resterà a livello di battaglia parlamentare.
Come è stato per l’America, dopo il doloroso processo di separazione, non si potrà forse un domani arrivare a un ritorno della Gran Bretagna nell’Unione europea?