Società

“Integrarsi”, tutti

Andiamo domandandoci se l’Italia, la nostra regione, la nostra diocesi e, in particolare, la nostra città di Chioggia, stanno diventando razziste. O meglio, se gli abitanti stanno sempre più inoculando un germe che crea discriminazioni in base alla razza, al colore della pelle, ad altre differenze (di genere, di cultura, di censo…). Una domanda terribile che un tempo sembrava inopportuna e fuorviante, mentre ora appare urgente e inquietante. Non si tratta, purtroppo, solo di parole e di azioni isolate, ma di una mentalità che rischia di diffondersi e contagiare progressivamente anche la nostra società.

Andiamo domandandoci se l’Italia, la nostra regione, la nostra diocesi e, in particolare, la nostra città di Chioggia, stanno diventando razziste. O meglio, se gli abitanti stanno sempre più inoculando un germe che crea discriminazioni in base alla razza, al colore della pelle, ad altre differenze (di genere, di cultura, di censo…). Una domanda terribile che un tempo sembrava inopportuna e fuorviante, mentre ora appare urgente e inquietante. Non si tratta, purtroppo, solo di parole e di azioni isolate, ma di una mentalità che rischia di diffondersi e contagiare progressivamente anche la nostra società. Occorre riconoscere che non siamo immuni da questo virus. Lo scriviamo sull’onda di recenti episodi saliti alle cronache nazionali – i cori razzisti contro Balotelli a Verona, i gesti inconsulti di disprezzo e di violenza contro un clochard a Chioggia – ma riferendoci anche ai discorsi e agli atteggiamenti di insofferenza, di offesa, di embrionale “razzismo”, sempre più sdoganati nel linguaggio corrente e nei media, avallati anche da leader e “influencer” di ogni tipo. Persistono e sembrano crescere e imporsi discriminazioni tra Nord e Sud, tra bianchi e neri, tra “normali” e “anormali”, tra sani e malati, tra maschi e femmine, tra giovani e anziani, tra “integrati” ed emarginati… A proposito di “integrazione”, val la pena riscoprirne il vero significato: non vuol dire tanto o solo “coinvolgere” un’altra persona o qualcosa, ma anche “rendere intero”, “inserire ciò che manca”! Per cui noi non dobbiamo “coinvolgere” gli altri per essere buoni nei loro confronti, ma appunto “integrarli” perché altrimenti “ci manca qualcosa”, …non siamo noi integri, “interi”. I cori razzisti contro Balotelli o altri, i gesti sprezzanti e violenti verso un clochard sono assurdità che stravolgono la nostra natura umana, che non permettono di raggiungere la pienezza alla quale si dovrebbe aspirare e dalla quale, invece, con questi comportamenti ci si allontana. E’ una sorta di boomerang che si rivolge contro coloro che lo lanciano in vari modi e forme sugli altri. Integrare, dunque, non solo e non tanto come “accogliere” o “assimilare” adeguando gli altri a noi, né adeguare piattamente noi agli altri, ma accogliersi reciprocamente arricchendosi di ciò che l’altro è ed ha e che a noi manca: la sua personalità, la sua cultura, la sua religione, le sue domande e le sue riposte, i suoi valori e i suoi bisogni: tutto contribuisce all’integrazione e all’arricchimento reciproco. Le reazioni della città alle cronache sconcertanti dei giorni scorsi (qualcuno ha evocato castighi o forme di “rieducazione” – che a volte possono anche servire -, altri l’urgenza di riscoprire e diffondere valori…) devono trovare tutti concordi, dai politici agli insegnanti ai genitori (mestiere particolarmente difficile oggi con le tante suggestioni che s’intrecciano). In fondo, la voce del papa e della Chiesa, che si ostinano a mettere in guardia dall’emarginare i poveri, gli ultimi, gli stranieri, i diversi, considerandoli e trattandoli invece sempre come fratelli, è la base necessaria per ogni altra forma di rispetto e di solidarietà. Diversamente è la giungla, che non può essere la comunità e la società da costruire. Vincere piuttosto la paura dell’incontro perché non diventi scontro; favorire e mai bloccare, per falso riguardo, interscambio e dialogo sempre con tutti.

(*) direttore “Nuova Scintilla” (Chioggia)