Intervista

Regno Unito: ancora elezioni. Ma sembra un referendum sul Brexit

Il 12 dicembre i britannici saranno nuovamente chiamati alle urne per rinnovare il parlamento. Eppure i cittadini, più che alle sorti dei partiti, sembrano interessarsi alla grande scelta tra rimanere o lasciare l’Unione europea. John Curtice, docente universitario e guru dei sondaggi, mette in luce il vantaggio dei conservatori di Boris Johnson. Ma in campo, agguerriti, ci sono anche laburisti, liberali e il “Brexit party”. Infine un monito: “non dimentichiamoci che sarà una campagna elettorale violenta”

Un Paese profondamente diviso, ma determinato a non lasciarsi sfuggire l’opportunità di votare alle prossime elezioni, il 12 dicembre, perché la questione Brexit ha coinvolto i cittadini britannici in politica come forse non era mai capitato prima. La politica isolana ha proceduto sinora senza una logica apparente: sul recesso dall’Unione europea sono caduti governi, si è spaccato più volte il Parlamento, l’opinione pubblica è lacerata e si è dovuto bussare più volte alle porte di Bruxelles per chiedere comprensione e rinvii. I Ventisette hanno mostrato fermezza e, al contempo, comprensione verso Londra. Ora la nuova data del Brexit è stabilita al 31 gennaio… salvo ripensamenti o addirittura accelerazioni per parte inglese. Intanto Westminster ha deciso lo svolgimento di elezioni anticipate.
In Gran Bretagna i sondaggi hanno cominciato ad assegnare il vantaggio ai conservatori del premier Boris Johnson, con uno scarto dai sette ai quindici punti sui laburisti, ma un punto di domanda sulla loro attendibilità è lecito, considerati gli errori del passato. John Curtice, docente di politica all’Università di Strathclyde, Glasgow, un vero guru di queste indagini, che commenta per Bbc e altri media ogni nuova chiamata alle urne, è però convinto che queste proiezioni funzionino ancora.

Professore, ci si può fidare dei sondaggi che hanno sbagliato, nel 2015, quando non riuscirono a predire la vittoria di David Cameron, e alla vigilia del referendum del 23 giugno 2016, quando il Regno Unito decise di lasciare la Ue? Errori si sono riscontrati anche alle ultime elezioni…
Bisogna saper distinguere. Il quadro è più complicato di quanto si possa immaginare ed è importante accettare che le proiezioni non possano azzeccare un risultato al 100% e anche che non tutte le previsioni elettorali giungano alla stessa conclusione. È vero che nel 2015 si era parlato di un “parlamento sospeso”, senza una maggioranza per nessuno dei due partiti principali, mentre Cameron ha poi vinto con facilità. Tuttavia nel referendum del 2016 la maggior parte dei sondaggi hanno dato la vittoria ai “leave”, coloro che se ne volevano andare dall’Ue, anche se, alla fine, uno spostamento verso i “remain” ha ingannato quattro proiezioni su sei. Non c’è dubbio che nel 2017 la maggioranza dei sondaggi ha sbagliato, ma c’era una ragione importante: stavano infatti cercando di aggirare il problema che avevano avuto nel 2015, quando avevano ignorato il fatto che molti elettori laburisti giovani, all’ultimo momento, non sarebbero andati a votare. Un sondaggio “Survation”, in ogni caso, aveva azzeccato il risultato giusto.

E questa volta?
Ancora una volta non tutte le previsioni danno lo stesso risultato, anche se esiste una struttura chiara. La maggior parte dei sondaggi assegna ai conservatori un vantaggio che va dai sette ai quindici punti perché i Tories sono riusciti ad affermarsi tra i “leavers”, ovvero coloro che vogliono lasciare la Ue. Hanno ottenuto, infatti, il 60% di questi voti, mettendo ai margini il “Brexit party”, il loro avversario più diretto. Tutte le società che si occupano di sondaggi concordano anche sul fatto che il voto “remain”, coloro che vogliono rimanere in Europa, è diviso tra laburisti e liberaldemocratici. Il Paese, però, nel suo complesso, è spaccato a metà, come era già capitato nel referendum del 2016 tra pro Brexit e anti Brexit. La vera battaglia all’ultimo voto, per il leader laburista Corbyn, è con la liberaldemocratica Jo Swinson, non con il premier Boris Johnson, e, per quest’ultimo, il vero rivale è Nigel Farage, del Brexit party. Le cose cambieranno se Corbyn riuscirà a sottrarre più voti ai liberaldemocratici.

Ci sarà una maggioranza, quando lo scrutinio sarà terminato, la mattina del 13 dicembre, o avremo un parlamento “appeso” o “in sospeso”, senza che nessuno dei due partiti principali prevalga?
In questo momento i sondaggi danno in vantaggio il premier uscente conservatore Boris Johnson. Se avrà una maggioranza consolidata, in parlamento, ce ne andremo dalla Ue il 31 gennaio 2020. Il partito laburista è così indietro nei sondaggi e così indebolito in Scozia che sembra impossibile che conquisti i 326 seggi necessari per avere una maggioranza parlamentare. È possibile, tuttavia, un governo di minoranza, ovvero un’alleanza con laburisti, nazionalisti scozzesi, gallesi e verdi perché tutte queste formazioni vogliono un secondo referendum.

Che tipo di elezioni saranno?
Il Paese è profondamente diviso, ma anche coinvolto, in modo molto intenso, dalla questione Brexit. Per la prima volta, dagli anni Sessanta, la politica attira i cittadini alle urne e l’affluenza sarà alta. Basti pensare che ci sentiamo quattro volte più impegnati a rimanere o andarcene dalla Ue che a votare un certo partito politico. Tuttavia trovare un terreno di compromesso è molto difficile. Non c’è più quell’apatia verso la politica di qualche anno fa, quando i cittadini non andavano più a votare, ma c’è molta polarizzazione. Non dimentichiamoci, inoltre, che sarà una campagna elettorale violenta. Alcuni parlamentari hanno deciso di ritirarsi perché hanno paura per gli attacchi che ricevono, anche via social media. La polizia ha messo a punto misure di sicurezza speciali come allarmi, che i candidati devono indossare, e alcuni candidati hanno deciso di non girare per le case, una volta che si fa buio, perché non si sentono sicuri.