Politica
La drastica contrazione del numero di deputati e senatori incide profondamente sul meccanismo della rappresentanza, rischiando di tagliare fuori forze minori anche se significative e di alterare il rapporto con i territori
Sulla riforma elettorale la proposta della maggioranza arriverà alla Camera per metà dicembre, mentre è già stata presentata la proposta di legge costituzionale che introduce alcuni correttivi resi necessari dalla riduzione del numero dei parlamentari, con le firme di tutti i gruppi che sostengono il governo. Si tratta di argomenti da prendere con le pinze per i complessi aspetti tecnici che inevitabilmente devono essere considerati e ponderati. Ma toccano snodi fondamentali del funzionamento del nostro sistema democratico e quindi meritano un approfondimento serio, anche perché i cittadini potrebbero essere chiamati a pronunciarsi direttamente su entrambi i filoni di riforma, che in un modo o nell’altro sono comunque collegati alla riduzione del numero dei parlamentari. Lo è anche la riforma elettorale, infatti, perché la drastica contrazione del numero di deputati e senatori incide profondamente sul meccanismo della rappresentanza, rischiando di tagliare fuori forze minori anche se significative e di alterare il rapporto con i territori.
L’obiettivo di una riforma che garantisca il pluralismo politico e territoriale – obiettivo che la maggioranza si è data sin dall’inizio – ha quindi un fondamento oggettivo.
Ma inesorabilmente le preoccupazioni dei partiti si concentrano sugli effetti che il sistema elettorale avrà sulla composizione del prossimo parlamento, tanto più che il tema dell’interruzione anticipata della legislatura è una costante patologica del dibattito politico.
La prima mossa concreta, a ben vedere, è stata compiuta dalla Lega che ha mobilitato le Regioni guidate dal centro-destra perché fosse sottoposto a referendum abrogativo il sistema attualmente in vigore, con la finalità di eliminare del tutto la parte proporzionale lasciando in piedi soltanto i collegi uninominali maggioritari. Una mossa in cui è evidente l’intenzione di questo schieramento di arrivare più agevolmente a conquistare la maggioranza dei seggi in Parlamento per esprimere un governo autosufficiente. L’attuale maggioranza punta ovviamente a una soluzione di segno opposto. Nel vertice che si è svolto nei giorni scorsi con i rappresentanti di tutti i gruppi “si è convenuto – precisa una nota diffusa al termine dell’incontro – che non siano praticabili soluzioni fondate su collegi uninominali maggioritari né modelli proporzionali senza correttivi”.
In pratica, la discussione resta aperta tra un sistema proporzionale con soglia di sbarramento per evitare un eccesso di frammentazione, ipotesi che al momento sembra prevalente, e un sistema a doppio turno di coalizione analogo a quello previsto per i Comuni più grandi.
Per una valutazione di merito bisognerà attendere una proposta articolata in quanto i dettagli possono essere decisivi: nel primo caso, per esempio, fissare la soglia di sbarramento al 3 o al 5% può fare la differenza in modo sostanziale.
I partiti di maggioranza si sono comunque impegnati a incardinare la loro proposta di legge alla Camera tra il 16 e il 20 dicembre prossimi. Nel giro di un paio di mesi, sempre che il quadro politico generale non subisca scossoni traumatici, si capiranno meglio tempi e direzione di marcia. A gennaio, infatti, è attesa la pronuncia della Corte costituzionale sull’ammissibilità del referendum leghista. Il 12 dello stesso mese scade anche il termine per la richiesta del referendum (chiamato “confermativo” a prescindere dall’esito) sulla riduzione del numero dei parlamentari, che è stata approvata con la complessa procedura prevista per la revisione costituzionale. La richiesta dev’essere supportata da un quinto dei membri di una delle due camere: al Senato la raccolta delle firme necessarie non è lontana dal traguardo e se scattasse il referendum, l’entrata in vigore della riforma sarebbe posticipata allo svolgimento della consultazione.
Quanto alla proposta di legge con alcuni correttivi a cui si accennava in apertura, la sua applicazione è ovviamente subordinata all’entrata in vigore della riduzione dei parlamentari.
Ma mentre per cambiare la riforma elettorale è sufficiente la legge ordinaria – il che la rende un obiettivo politico molto più gestibile e ravvicinato – per le modifiche in questione è necessaria una legge costituzionale, con doppio voto di entrambi i rami del Parlamento a distanza di almeno tre mesi ed eventuale referendum confermativo. La proposta, nel testo presentato alla Camera, consta di tre articoli. Nel primo si stabilisce che il Senato venga eletto su base circoscrizionale e non regionale. Questo – detto in modo sommario – per poter disegnare circoscrizioni più grandi e ridurre la compressione della rappresentanza provocata dalla riduzione dei parlamentari. La dimensione delle circoscrizioni, infatti, influenza di per sé la proporzionalità di un sistema elettorale. Nel secondo articolo si prevede che siano due (e non più tre) i delegati di ogni Regione che partecipano all’elezione del Presidente della Repubblica. In questo caso si intende riequilibrare il peso dei delegati regionali rispetto a quello dei parlamentari fortemente ridotti di numero. Nel terzo articolo si definiscono tempi e modi di applicazione delle modifiche.