Incontro a Parigi
Il 23 novembre a Parigi si è svolto un incontro del laicato arabo cristiano. Circa 100 rappresentanti di diversi riti e provenienze hanno dibattuto su come portare avanti l’idea di fratellanza e cittadinanza, quale base su cui individuare la soluzione ai problemi della regione e dei rispettivi Paesi. Ne abbiamo parlato con uno dei promotori, il giornalista e intellettuale libanese, Saad Kiwan
“I cristiani arabi si impegnano a lavorare per la nascita di uno Stato nazionale civile che garantisca a tutti i cittadini stessi diritti e doveri, l’esercizio del loro credo religioso, e nel quale vivere in pace con i loro concittadini musulmani sunniti, sciiti, con ortodossi, curdi, assiro-babilonesi, copti, yazidi e altri. Uno Stato nazionale che permetterebbe loro di passare da membri da una comunità a cittadini di una nazione”.
È la pressante richiesta di un rinnovamento morale e culturale della politica quella che emerge dal documento finale dell’incontro del laicato arabo cristiano che si è svolto a Parigi, il 23 novembre, organizzato dall’associazione libanese “Nostra Signora della Montagna”, guidata dall’ex deputato libanese Fares Souaid, noto per aver accompagnato il patriarca maronita, card. Bechara Rai, nella sua storica visita in Arabia Saudita, la prima di un leader religioso cristiano nel paese custode dei luoghi più sacri per l’Islam.
Circa 100 delegati di diversi riti (caldeo, copto, melchita, latino, siro, maronita, ortodosso) dall’Egitto, dalla Siria, dall’Iraq, dalla Giordania e dalla Palestina, con la presenza di un rappresentante del Ministero degli Esteri francese e di mons. Andrea Ferrante, incaricato d’affari presso la Nunziatura Apostolica in Francia, hanno discusso su “come portare avanti l’idea di fratellanza e cittadinanza, quale base su cui individuare la soluzione ai problemi della regione e dei rispettivi Paesi”.
Chiaro il rimando al documento sulla Fraternità umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato il 4 febbraio scorso, ad Abu Dhabi, da papa Francesco e dal Grande Imam di Al Azhar Ahmad Al-Tayyeb. Nella Dichiarazione viene ribadito con chiarezza che: “Il concetto di cittadinanza si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia. Per questo è necessario impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità; esso prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae le conquiste e i diritti religiosi e civili di alcuni cittadini discriminandoli”.
“La situazione in Medio Oriente – spiega al Sir Saad Kiwan, giornalista e intellettuale libanese, tra i promotori dell’incontro di Parigi – è preoccupante. I fenomeni che attraversano questa regione calda non sono solo di natura politica ma toccano temi come il terrorismo, il settarismo, il concetto di minoranza”.
“È bene ricordare che i cristiani non sono stranieri in Medio Oriente ma sono gli abitanti originari e non hanno bisogno di nessuna protezione” aggiunge l’intellettuale che punta l’indice contro quegli attori regionali e internazionali che stanno “cercando di lanciare un’alleanza delle minoranze offrendo protezione davanti al bubbone del terrorismo sunnita dello Stato Islamico”.
Ogni forma di ingerenza esterna, secondo Kiwan, impedisce la convivenza: “I cristiani vogliono vivere insieme a tutte le componenti presenti nelle rispettive società. Non serve allearsi con nessuna comunità per andare contro le altre perché questo sistema perpetua inimicizie, divisioni e contrasti”.
“I cristiani non hanno bisogno di garanti”.
La meta per tutti è quella indicata dal documento di Abu Dhabi: la cittadinanza.
Questa, afferma con convinzione Kiwan, “può essere garantita solo dallo Stato, uno Stato democratico e laico, in cui la religione sia distinta dalla politica. L’unico che possa garantire il passaggio dalla convivenza di comunità divise e frammentate da settarismo e confessionalismo al vivere insieme come cittadini aventi tutti uguali diritti, nel quadro di un progetto volto a ricercare il bene comune del Paese”.
Da Beirut a Baghdad. Un’aspirazione che si ritrova ben espressa nelle cosiddette “rivoluzioni di velluto” in corso in Libano e in Iraq. Tanti i punti in comune tra le piazze libanesi e irachene. “I manifestanti sono scesi in piazza senza badare alle differenze confessionali, settarie, politiche. Tantissimi sono giovani che sanno bene cosa vogliono e hanno una volontà incredibile. Sono pacifici, questo è importante, nonostante le provocazioni dei miliziani di Hezbollah e Amal contro i manifestanti a Beirut”. Lo stesso clima in Iraq: “A Baghdad non si parla di scontri tra sciiti e sunniti ma di una rivolta di cittadini, di un popolo contro il Governo, la corruzione, la carenza di servizi e contro l’egemonia iraniana. Chiedono un Paese libero governato da iracheni e da cittadini liberi. Rivendicano le stesse cose che rivendichiamo in Libano.
A Baghdad hanno alzato la bandiera libanese e a Beirut quella irachena.
In Libano siamo riusciti a far cadere il Governo, in Iraq chiedono nuove elezioni, vogliono cambiare. Da Beirut a Baghdad i manifestanti chiedono di essere trattati da cittadini e non da sciiti, sunniti, cristiani, alauiti e via dicendo. Siamo davanti a un fatto epocale – dice Kiwan – che potrebbe portare a quella giusta laicità da tutti invocata auspicata. Sarebbe una svolta per l’intera regione. I pericoli sono tanti, soprattutto le soluzioni militari atte a reprimere nel sangue le proteste”. Per questo nella dichiarazione finale di Parigi come cristiani arabi “facciamo appello a tutti i giovani in Libano, Iraq, Algeria, Sudan e Libia perché si impegnino a mantenere pacifica la protesta-rivoluzione come unica risposta alla repressione sanguinaria dei regimi come successo in Siria e in Iraq. Auspichiamo la pace a livello internazionale basata sui diritti dei popoli e garantita dagli accordi e dalle convenzioni internazionali.
Condanniamo ogni forma di terrorismo, male che affligge l’umanità e che inquina i rapporti umani tra i popoli e che fa il gioco dei governi e dei regimi autoritari”.