Editoriale

Bella ciao o il Magnificat?

In questi giorni stiamo assistendo al moltiplicarsi delle manifestazioni nelle pubbliche piazze da parte soprattutto di giovani contro l’odio crescente che sembra invadere la società, come i social riportano, cartina di tornasole di una società sempre più egoista e individualista. Si chiamino sardine o in altro modo, la voglia di piazza è una reazione positiva a una situazione sociale che sembrerebbe degenerare, cavalcata da politici sovranisti o xenofobi che alimentano un clima di odio che ammorba le nostre società occidentali, Italia compresa.

In questi giorni stiamo assistendo al moltiplicarsi delle manifestazioni nelle pubbliche piazze da parte soprattutto di giovani contro l’odio crescente che sembra invadere la società, come i social riportano, cartina di tornasole di una società sempre più egoista e individualista. Si chiamino sardine o in altro modo, la voglia di piazza è una reazione positiva a una situazione sociale che sembrerebbe degenerare, cavalcata da politici sovranisti o xenofobi che alimentano un clima di odio che ammorba le nostre società occidentali, Italia compresa. Una costante che ritorna, da Modena a Bruxelles, a New York è la canzone che scandisce questi raduni: l’inno “Bella ciao”. È stato cantato perfino in chiesa al termine della messa, dopo che i benpensanti cristiani, evangelici di facciata, ma razzisti di opinione e di azione erano usciti dalla chiesa. Si tratta, come sappiamo, di un canto degli oppressi, che dalle mondine è passato poi ai partigiani e oggi è un canto globale, cantato in curdo anche nella dura realtà di Kobane, un canto noto in molte parti d’Europa come canto di ribellione contro il nazi-fascismo. La canzone è ormai universalmente diventata un simbolo recente, espressione del desiderio di libertà. Ma se andiamo indietro di duemila anni forse possiamo trovare un altro canto ancora più significativo di “Bella ciao”. Parlo dell’inno di una sconosciuta fanciulla di Nazaret che, visitando la cugina Elisabetta, cantò ad alta voce il suo Magnificat, dove il vero protagonista della storia, il Dio di Gesù, rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili, da’ il pane agli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote. Cosa può esserci di più rivoluzionario delle parole espresse da Maria? Probabilmente ai laicisti ad oltranza questo farebbe storcere il naso. Forse ci sarebbe un po’ di pudore, anche da parte dei cristiani a cantare il magnificat nelle piazze. Lo abbiamo anestetizzato relegandolo nelle nostre liturgie cariche di incenso senza alcuno sbocco reale nella vita concreta, recitandolo a pappagallo nella celebrazione del Vespro ogni sera, senza nemmeno comprendere le parole che stiamo dicendo. È questa l’Europa e l’Italia che hanno dimenticato la portata rivoluzionaria del vangelo.

(*) direttore “Settegiorni dagli Erei” (Piazza Armerina)