Politica e media
Si è discusso e scritto nei giorni scorsi attorno a un documento franco-tedesco che – secondo la vulgata – dovrebbe “lanciare” la Conferenza sul futuro dell’Europa. Della quale, in realtà, si discute da mesi, anche nelle sedi ufficiali fra Strasburgo e Bruxelles. Dunque, dov’è la novità? Le possibili risposte non mancano…
Suscita qualche interrogativo il rilievo assegnato da una buona parte dei media al “non-paper” franco-tedesco (documento di posizione, cioè un contributo al dibattito politico), in circolazione da qualche giorno, riguardante la futura “Conferenza sul futuro dell’Europa”. Autorevoli testate in Italia e nel resto del continente hanno assegnato alle due paginette una importanza eccezionale nel delineare i punti cardine di questa Conferenza che dovrebbe aiutare a ripensare e semmai rilanciare l’Unione europea, scossa da una pluralità di “crisi” (politica, economica, demografica, migratoria, comunicativa…), presa d’assedio da nazionalisti e populisti e circondata da un più generico – e talvolta genuino – scetticismo attorno al domani della “casa comune”.
“Franco-German non-paper on key questions and guidelines”: questo il titolo della bozza divisa in 5 punti: chi dovrebbe assumere l’iniziativa della Conferenza; quali temi devono essere affrontati; di quale struttura c’è bisogno; forte coinvolgimento dei cittadini; quale risultato attendersi. Ebbene, ciascuno di questi punti è già da tempo all’attenzione delle istituzioni europee – Parlamento, Commissione e Consiglio – che vi stanno lavorando da quando, nel luglio scorso, la presidente eletta della Commissione, Ursula von der Leyen, lanciò ufficialmente l’idea della Conferenza.
Ma cosa afferma il “non-paper”? Sostiene che la Conferenza debba essere promossa dalle tre citate istituzioni comunitarie, guidata da una personalità europea di rilievo (da mesi – non è certo una novità – si fa il nome del belga Guy Verhofstadt), e da uno “steering group” (sorta di cabina di regia) che tiri le fila dell’evento. Il testo franco-tedesco esplicita poi alcune priorità delle quali la Conferenza dovrebbe occuparsi: ruolo dell’Ue nel mondo, sicurezza, migrazioni, vicinato, digitalizzazione, cambiamento climatico, diritti sociali, stato di diritto… Alla Conferenza si assegna il compito di identificare alcune riforme eventualmente necessarie per dare nuovo smalto all’Unione.Circa la “struttura” della Conferenza, si parla di un mandato interistituzionale, entro gennaio 2020; una prima fase di lavori, focalizzata sul funzionamento e la legittimità democratica dell’Ue (fra cui le liste transnazionali per l’elezione dell’Europarlamento, la procedura degli “spitzenkandidaten” per la scelta del presidente della Commissione), da febbraio prossimo fino all’estate 2020; una seconda fase, più ampia, fino all’inizio del 2022, che si concentrerebbe sulle altre priorità politiche e i diversi ambiti di azione dell’Unione europea. La fase apicale della conferenza ricadrebbe, guarda a caso, sotto le presidenze di turno della Germania e della Francia. Il tutto coinvolgendo i cittadini e giungendo a un documento finale da presentare al Consiglio europeo, dove siedono i capi di Stato e di governi dei Paesi membri.
In realtà tutti questi elementi sono in discussione su vari tavoli nelle sedi di Bruxelles e Strasburgo e persino messi nero su bianco in qualche testo che sta circolando, nient’affatto “segreto”. Sono ad esempio coinvolti la commissione Affari costituzionali (Afco) e la Conferenza dei presidenti (presidente Sassoli e presidenti dei gruppi politici) del Parlamento europeo. Un documento di posizione (si vedano le immagni qui riportate), con proposte sul medesimo argomento, era stato definito dai presidenti del Comitato delle Regioni e dal Comitato economico e sociale dell’Ue, Karl-Heinz Lambertz e Luca Jahier, addirittura nel dicembre 2018. Un altro testo interessante si deve – sempre per restare agli esempi – al Movimento federalista europeo.
Appare dunque ingiustificato quanto si leggeva in questi giorni su un’importante testata italiana, secondo la quale “Berlino e Parigi hanno deciso di lanciare la proposta di una Conferenza intergovernativa sul futuro dell’Europa”. Basti pensare che da oltre un mese un apposito working group è stato costituito all’interno del Parlamento europeo. E sul tema sono già attivi uffici della Commissione e del Consiglio, tanto che è noto un calendario con le tappe che porterebbero alla Conferenza: il Consiglio europeo ne discuterà il 12 e 13 dicembre a Bruxelles; è poi prevista l’adozione di un documento da parte della Commissione il 17 dicembre; le conclusioni del gruppo di lavoro del Parlamento europeo saranno presentate alla riunione della Conferenza dei presidenti il 19 dicembre. Una risoluzione del Parlamento – da tempo in itinere, nota a chi lavora sui temi europei, discussa ancora il 25 novembre in Afco a Strasburgo – dovrebbe giungere al voto della plenaria a gennaio 2020.
Si è già parlato della sede della Conferenza, che verrebbe ospitata negli edifici di Bruxelles del Parlamento Ue. Persino della sua composizione si ragiona da tempo e si parla di circa 500 membri: 75 eurodeputati, un rappresentante per ognuno dei 27 governi dei Paesi membri, 50 membri dei parlamenti nazionali e 27 per il Comitato delle Regioni, 75 per il Cese; inoltre 250 cittadini estratti a sorte fra coloro che si iscriveranno su una apposita piattaforma on line (secondo regole proporzionali per ogni Stato).
Nel suo discorso programmatico dinanzi all’Euroassemblea, mercoledì 27 novembre, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha di nuovo fatto riferimento alla Conferenza. E saranno tre – anche questo risaputo da settimane – i commissari designati a seguirne gli sviluppi organizzativi e tematici: Dubravka Suica, Maros Sefcovic e Vera Jourova.
L’agenzia Sir ha riferito di volta in volta i passaggi istituzionali, gli argomenti sollevati, le decisioni che stanno, non senza fatiche e qualche misunderstanding, portando verso il varo della Conferenza sul futuro dell’Europa. Dunque, dove sta la “novità” del documento franco-tedesco, non privo di punti critici e in tal senso preso in esame nella riunione degli ambasciatori Ue nella giornata di mercoledì 27 novembre? Potrebbe risiedere anzitutto in una sottovalutazione – o mancata attenzione – da parte di politici e giornalisti a una questione che è, come detto, in marcia da mesi. Inoltre, è lecito immaginare che la provenienza franco-tedesca della tutt’altro che originale proposta abbia risvegliato coscienze europee assopite. Ovvero, ci si mette in allarme per una iniziativa dei “soliti” governi di Berlino e Parigi semplicemente perché probabilmente gli altri 25 governi non hanno alcuna proposta da avanzare, chiusi in un mutismo arrendevole e colpevole.
Aggiungiamo: Francia e Germania intervengono anche perché non hanno la coscienza limpida in materia: la Conferenza è anche, non solo ovviamente, una risposta al fatto che Merkel e Macron furono contrari alla procedura degli “spitzenkandidaten” per la scelta del presidente della Commissione Ue: bocciarono infatti il popolare tedesco Manfred Weber e imposero a luglio Ursula von der Leyen, con l’avallo di tutti i Paesi membri. Una vera forzatura alla procedura “lead candidate system”.
In conclusione: la Conferenza sul futuro dell’Europa potrebbe costituire una opportunità per una profonda riflessione sull’Ue, per giungere alle tanto invocate riforme e a un nuovo slancio politico, per rendere l’Unione uno “strumento” sempre più al servizio dei cittadini, con una voce autorevole sulla scena globale. Essa richiede però che ogni attore coinvolto (media compresi) prenda sul serio tale chance. “Gli assenti han sempre torto”, ricorda un proverbio: sarà valido anche in questa circostanza.