Editoriale
«Abbiamo perso la cornice!». Non è l’espressione allarmata di un venditore di quadri, ma l’incipit del sociologo Daniele Marini che ha esordito con questa immagine all’incontro di aggiornamento dei preti della nostra diocesi del mese scorso. La cornice è ciò che permette di dare senso ad un contesto, ad un’epoca, ad un momento storico: aver perso la cornice significa non riuscire più a cogliere il senso del proprio tempo. Profondi cambiamenti hanno toccato il Nordest e, più complessivamente, il nostro Paese: cambiamenti “strutturali”, che riguardano l’intero pianeta, come la globalizzazione e l’innovazione tecnologica, e “culturali”, che spingono nella direzione di uno spiccato relativismo e dell’esaltazione del soggetto. Tutto cambia, anzi è già cambiato
«Abbiamo perso la cornice!». Non è l’espressione allarmata di un venditore di quadri, ma l’incipit del sociologo Daniele Marini che ha esordito con questa immagine all’incontro di aggiornamento dei preti della nostra diocesi del mese scorso. La cornice è ciò che permette di dare senso ad un contesto, ad un’epoca, ad un momento storico: aver perso la cornice significa non riuscire più a cogliere il senso del proprio tempo. Profondi cambiamenti hanno toccato il Nordest e, più complessivamente, il nostro Paese: cambiamenti “strutturali”, che riguardano l’intero pianeta, come la globalizzazione e l’innovazione tecnologica, e “culturali”, che spingono nella direzione di uno spiccato relativismo e dell’esaltazione del soggetto. Tutto cambia, anzi è già cambiato, e una cornice grazie alla quale “inquadrare” quanto è avvenuto (e sta avvenendo) ci manca. L’analisi del sociologo trova un’efficace sintesi nelle parole di papa Francesco al Convegno ecclesiale di Firenze del 2015: «Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca». Gli effetti di questa trasformazione sono evidenti anche nell’ambito della fede. Indagini recenti mostrano come – nell’immaginario collettivo del nostro Paese – il ruolo della religione risulti essere via via periferico per le scelte etiche o politiche delle persone: il comportamento dei cattolici praticanti – sia in politica sia nelle decisioni della sfera privata – non sembra molto diverso da quello di chi non si definisce tale.
La parrocchia, che fino a non molto tempo fa era riconosciuta come punto di riferimento per le generazioni più giovani, ora sta uscendo dal loro “schema cognitivo”: non si tratta tanto di una presa di distanze per motivi ideologici, ma semplicemente del fatto che molti non sanno che la parrocchia esista oppure – se lo sanno – non ha per loro alcun rilievo. Che fare, quindi? Senza pretesa di facili soluzioni, si intravedono delle possibili vie di impegno. Una prima indicazione è quella di “ridare una cornice”, vale a dire cercare di capire quello che sta accadendo. Non sarà possibile comprendere il senso del tutto, ma almeno offrire delle coordinate per orientarsi nella complessità. Da questo punto di vista le “realtà intermedie”, come le varie forme di associazionismo (dal volontariato, all’associazionismo cattolico, ai partiti), hanno oggi un compito strategico: quello di “fare educazione” e dare un contributo affinché le persone siano in grado di reagire all’attuale senso di disorientamento. Ne saranno all’altezza? Se la complessità è l’elemento costitutivo della società attuale, non si possono attendere passivamente “tempi migliori”, perché non verranno da soli. È necessario progettare ed agire ora, nella complessità, anche se non è tutto chiaro e non tutti i conti tornano. Da ciò consegue che qualsiasi progetto sarà necessariamente un tentativo o un abbozzo di ricerca che procede per approssimazioni successive, pur nella consapevolezza che «in ogni situazione – come afferma Albert Otto Hirschman, economista tedesco di fama mondiale – c’è sempre una riforma possibile ». Un’altra indicazione urgente è quella di proporre ed attuare delle alternative all’individualismo imperante. Se è vero – come ha suggerito mons. Vincenzo Paglia in un suo recente volume dal titolo emblematico “Il crollo del noi” – che stiamo assistendo alla nascita di un nuovo individualismo che asservisce tutto a sé, l’unica contromisura è partire dalla “prossimità”, vale a dire dal riconoscimento che l’altro è “mio fratello”: «La fraternità – afferma Paglia – è la chiave che apre al mondo del “Noi”: quel mondo in cui non siamo ancora ri-entrati e che pure ci aspetta; quell’impegno comune tra credenti e non credenti che solo può farci affrontare le grandi sfide del presente». Per ricostruire la cornice è necessario leggere, informarsi, lasciarsi provocare dalle situazioni e soprattutto avere fiducia nei giovani e nel futuro. Lo ribadisce convintamente il filosofo e scrittore francese Michel Serres nel suo volumetto: Non è un mondo per vecchi, scritto nel 2012 alla bell’età di 82 anni: se la tecnologia ha rivoluzionato il sapere, chi vuole restare al passo coi tempi è chiamato ad aggiornarsi continuamente ed a restare giovane… che non è affatto soltanto e prevalentemente una questione anagrafica!
(*) direttore “L’Azione” (Vittorio Veneto)