#AI4Docs

L’intelligenza artificiale può rivoluzionare la medicina, ma solo se guidata da un’algor-etica

L’intelligenza artificiale in sanità può contribuire ad accelerare la ricerca, migliorare la diagnosi di malattie e rendere più efficienti i processi di assistenza e cura, ma non può sostituirsi al medico. A guidarla serve un’etica dell’algoritmo sviluppata dall’uomo. Lo affermano gli esperti del settore riuniti a Roma

Molte le opportunità; altrettanti i rischi. L’intelligenza artificiale applicata in sanità può apportare indiscutibili benefici alla medicina e alla pratica clinica accelerando la ricerca, anticipando e migliorando la diagnosi di malattie e rendendo i processi di ricerca, cura e assistenza più veloci ed efficienti ma il suo impiego non è privo di ombre. Se ne è parlato oggi al Policlinico universitario A. Gemelli Irccs di Roma, nel corso dell’evento AI4Docs “Opportunità e rischi dell’intelligenza artificiale in medicina” promosso dalla Fondazione Gemelli in collaborazione con la Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Cattolica.

Arcivescovo Edgar Peña Parra

Non a caso, concludendo i lavori, l’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato della Santa Sede, ha parlato di “sfida immensa”. Per “tutelare la dignità della persona; preservare il lavoro; assecondare uno sviluppo equo, integrale e sostenibile; corroborare l’alleanza medico-paziente; essere salvaguardati da forme di algor-crazia – ha ammonito richiamando le parole di Papa Francesco lo scorso 14 novembre –

abbiamo bisogno di un’algor-etica”.

Ad innervare il dibattito, moderato da Barbara Gasperini, giornalista e tecnologa, la consapevolezza che a governare il sistema deve essere l’uomo.

Roberto Cingolani

Nel suo Keynote Speech, Roberto Cingolani, Chief Technology&Innovation Officer di Leonardo, ha definito le intelligenze artificiali (AI) e i robot “elettrodomestici di lusso” sottolineando che

“al centro deve essere sempre l’essere umano”.

Concetto ribadito da Alexander Waibel, Professor at Carnegie Mellon University and Karlsruhe Institute of Technology, secondo il quale l’AI in ambito sanitario “può sollevare i medici dall’interagire con le macchine lasciando loro più tempo per relazionarsi con i pazienti”. Ma, attenzione, avverte: “gli algoritmi possano essere impiegati per manipolare l’opinione pubblica”.

Per Daniela Scaramuccia, Health & Life Science Director di Ibm, l’AI può accelerare la ricerca perché “con i supercomputer siamo in grado di simulare i comportamenti molecolari; comprendere e analizzare le immagini diagnostiche meglio dell’occhio umano”, ma il sistema deve essere trasparente e guidato da “medici, infermieri e pazienti”. Anche per Fabio Moioli, Head Consulting & Services @Microsoft, “l’intervento umano è sempre indispensabile: quando si usa un algoritmo dobbiamo essere noi umani a validarlo”. In Italia, sostiene,

“l’azione più urgente è incentivare l’human learning:

i medici devono imparare a creare e utilizzare queste nuove tecnologie”.

“Un ospedale con 500 posti letto ha 278 App e 500mila dispositivi elettromedicali da gestire: l’intelligenza artificiale può aiutare la gestione di questa complessità”, ha osservato Agostino Santoni, AD Cisco Italy. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: “Gli ospedali e i dati dei pazienti sono uno degli obiettivi privilegiati di attacco da parte del cybercrime il cui business vale un trilione di dollari. Oggi – ha avvertito – noi blocchiamo 20 miliardi di attacchi al giorno. Occorre maggiore consapevolezza dell’importanza della cybersecurity in sanità”.

Per mons. Mauro Cozzoli, ordinario di teologia morale presso la Pontificia Università Lateranense, “le intelligenze artificiali devono essere al servizio dell’intelligenza e della libertà umana; sono un artificio, uno strumento e tali devono restare”.Di fronte al rischio di “algor-crazia” occorre sviluppare una “algor-etica e un umanesimo tecnologico”.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Sulla stessa linea, ma stimolante e provocatorio come sempre, padre Paolo Benanti, teologo, esperto in bioetica e nuove tecnologie e membro Task force del Mise: “L’intelligenza artificiale può dirci qual è il paziente più bisognoso di cura. In questo modo possiamo ottimizzare i costi, ma siamo pronti a delegare ad una macchina una scelta prima affidata al giudizio di un medico?”. Con riferimento alla fecondazione artificiale, “siamo pronti a far dire ad una macchina quale sarà il Dna dei futuri esseri viventi?”. Richiamando il caso di Babylon Health, fornitore di servizi sanitari che offre consulenze remote con medici e operatori sanitari tramite messaggi di testo e video attraverso la sua App mobile e nel solo Regno unito conta più di 40mila utenti registrati, chiede ai medici presenti: “Studiereste dieci anni per ridurvi a fare qualcosa di equivalente all’operatore, ancorché qualificato, di call center?”. E ancora: “Che cosa accade di tutti i dati raccolti all’interno di questa prassi? Qual è il diritto del cittadino in un sistema sanitario di questo tipo?”. “La medicina – avverte – non deve diventare un mercato facilmente aggredibile da alcune società”. Per Benanti, è la presa in carico dell’altro a rendere umana la professione medica. Dunque sì all’intelligenza artificiale, ma “solo se orientata e guidata da un’etica dell’algoritmo, un’algor-etica in grado di impostarne le scelte affinché siano a favore dell’uomo”.