Editoriale

Condividere gioia

Sentivo in questi giorni più di qualcuno stanco della consuetudine dei “regali di Natale”, una sorta di rito annuale che, per molti, ormai è quasi un’imposizione dovuta per la catena dei propri rapporti familiari o amicali. Per altri, a dire il vero, è anche un’attesa e gradita soddisfazione quella di pensare, cercare, donare omaggi vari alle persone care o verso le quali c’è qualche debito di riconoscenza – molte volte in direzione reciproca, che si concretizza appunto spesso nei reciproci regali.

foto SIR/Marco Calvarese

Sentivo in questi giorni più di qualcuno stanco della consuetudine dei “regali di Natale”, una sorta di rito annuale che, per molti, ormai è quasi un’imposizione dovuta per la catena dei propri rapporti familiari o amicali. Per altri, a dire il vero, è anche un’attesa e gradita soddisfazione quella di pensare, cercare, donare omaggi vari alle persone care o verso le quali c’è qualche debito di riconoscenza – molte volte in direzione reciproca, che si concretizza appunto spesso nei reciproci regali. Certo, il “regalo di Natale” ha una sua valenza specifica e ben apprezzabile, ma non per mera tradizione o quasi per costrizione; si tratta invece di riflettere, e in qualche modo imitarlo, sul “gran regalo” che viene a tutti dalla nascita del Bambino Figlio di Dio, dono del Padre all’umanità. Magari pensando anche, più semplicemente, agli umili doni che i pastori avranno certo portato alla grotta, a quella povera famiglia esule; o ai doni materialmente più preziosi recati dai Magi (ma per questi ci sarà un’altra raffica di regali tra il 5 e il 6 gennaio…): gesti che, più o meno inconsapevolmente, ricopiamo in questa nostra consuetudine consolidata. Parimenti le tante luminarie e le innumerevoli feste o iniziative natalizie che costellano i luoghi del nostro territorio e infoltiscono il calendario di queste settimane – quasi una gara tra località più o meno grandi che ne fanno ampio sfoggio e molte volte sono anche esplicitamente finalizzate a incrementare i commerci – hanno certamente in sé una valenza positiva. Ne andrebbe infatti riscoperto e maggiormente evidenziato il valore – che pure a volte viene perseguito – di valida aggregazione, del piacevole ritrovarsi, del gratificante incontrarsi, del benefico stare insieme. Questo, ci pare, prima di tutto, può generare gioia, ancor prima degli effetti luminosi o delle musiche ad alto volume o delle vetrine addobbate (che possono comunque fare da contesto facilitatore, ma senza fare sviare troppo dalla sostanza…). E’ il perenne conflitto tra “Natale consumistico” e “Natale vero”. In ogni caso, ci pare ancora doveroso (anche se per qualcuno può sembrare solo scontato) un richiamo all’essenziale, senza il quale non ci sarebbe il Natale. Tra renne, alberi e balocchi, tra “Babbi Natale” grandi e piccini con tanto di copricapo rosso fiammante quasi per tutti, non va dimenticato né tantomeno declassato il Presepe, che appunto alla sostanza della festa ci rimanda. Un presepe da allestire e contemplare senza remore, certo senza vergognarsene (come a volte, ahimè, capita), anzi andandone “umilmente orgogliosi”! Non è importante – esorta il papa nella sua lettera da Greccio – come si allestisce il presepe: ciò che conta è che parli alla nostra vita. E’ un “vangelo vivo”. Da allestire con vera gioia e diffondendo gioia in famiglia, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze! Da lì emerge chiaro il messaggio – evidenzia papa Francesco – che “non possiamo lasciarci illudere da tante proposte effimere di felicità”.

(*) direttore “Nuova Scintilla” (Chioggia)