Intervista
La netta vittoria dei Tories, guidati dal premier conservatore, accelera i tempi del recesso dall’Unione europea. Labour sconfitto e stordito. Successo per gli indipendentisti scozzesi. Rischio di nuove violenze nell’Irlanda del Nord. L’analisi del voto britannico con Steven Fielding, docente di Storia della politica all’Università di Nottingham
“Boris Johnson ha vinto perché è riuscito a unire il fronte dei cittadini che vogliono lasciare l’Unione europea. Gli analisti politici hanno calcolato che i partiti ‘leave’, a favore del Brexit, potevano contare sul 48% degli elettori, mentre i partiti ‘remain’, per restare nella Ue, raggiungevano il 52%. Insomma la maggioranza, in Gran Bretagna, vuole rimanere nella Ue, ma mentre Corbyn non ha preso posizione e non ha saputo unire questa parte di opinione pubblica, il premier ha sfruttato il sistema elettorale uninominale secco, facendosi inoltre appoggiare dal Brexit Party”.
Così Steven Fielding (nella foto), docente di Storia della politica all’Università di Nottingham, specializzato negli studi sul partito laburista, commenta il voto con il quale Boris Johnson ha conquistato Westminster. “La posizione di Corbyn, a partire dal referendum su Brexit del 2016, è stata ambigua. Ha evitato di schierarsi, a favore o contro la presenza della Gran Bretagna nell’Unione europea, e questo, alla fine, si è tradotto in un revival dei liberaldemocratici, che erano a favore di un secondo referendum e hanno sottratto voti ai laburisti”, continua l’esperto. “Gli elettori si pensavano contro oppure a favore di Brexit e Johnson ha vinto con un messaggio chiaro: ‘Get Brexit Done’, completare Brexit”, entro il dicembre 2020”. Il commento, a caldo, sugli esiti del voto di ieri, giunge nella giornata in cui, a Bruxelles, i 27 leader Ue discutono dei futuri rapporti con il Regno Unito. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, dichiara infatti: “Mi congratulo con Boris Johnson e mi aspetto che il Parlamento britannico ratifichi il prima possibile l’accordo” negoziato con l’Ue per il recesso. L’Unione europea “è pronta a discutere gli aspetti operativi” delle relazioni future. Dalla sponda europea, dunque, nessun apparente rimpianto per il “divorzio”.
Ce la farà davvero Johnson a realizzare in fretta il recesso dall’Unione, che ha insistentemente promesso in campagna elettorale?
Neppure Johnson credeva davvero alla frase sul Brexit mentre la proclamava, durante la campagna elettorale, per conquistare gli elettori. Con la maggioranza che ha adesso in parlamento può persino permettersi di rimangiarsi la parola e di non rispettare la scadenza, perché gode della flessibilità di decidere quando e come negoziare la legislazione per il commercio tra Gran Bretagna e Ue. Con una maggioranza più risicata, invece, sarebbe rimasto ostaggio dello “European Research Group”, i politici che vogliono un’uscita senza accordo dalla Ue.
L’altra vincitrice di queste elezioni è la leader nazionalista scozzese Nicola Sturgeon, che chiede un secondo referendum, per ottenere l’indipendenza dal Regno Unito. Pensa che Boris Johnson lo concederà?
Non credo. In questo momento, in Scozia, coloro che vogliono restare dentro l’Unione di Inghilterra, Scozia e Nord Irlanda votano conservatore. Johnson, quindi, ha una base elettorale sicura, anche se inferiore a quella dei nazionalisti scozzesi. Il partito laburista, che aveva anche qui, come in Inghilterra, una posizione ambigua, ha perso. Questa situazione di continuo conflitto con Sturgeon, che non potrà ottenere un referendum sull’indipendenza senza il consenso di Westminster, converrà anche alla leader scozzese. Soltanto il 50% dei cittadini vuole staccarsi dalla Gran Bretagna in questo momento. Il partito nazionalista scozzese vive della richiesta dell’indipendenza, senza dover affrontare il problema di gestire una regione che dipende economicamente da Londra, con il vantaggio di dare la colpa al potere centrale di tutto quello che non funziona.
Come sarà la Gran Bretagna di Boris Johnson, visto che il premier si è assicurato almeno cinque anni di potere?
Il primo discorso da vincitore del premier è stato molto significativo perché ha dimostrato che Johnson è consapevole di aver vinto, per la prima volta nella storia del partito, con il numero più alto di deputati, strappando seggi da sempre laburisti nel nord d’Inghilterra. Il primo ministro ha detto di voler mantenere questa nuova base elettorale. Non credo, quindi, che privatizzerà il servizio sanitario nazionale, simbolo di uguaglianza, del quale i cittadini sono da sempre orgogliosi. Johnson ha lasciato i panni di thatcheriano, indossati per conquistare la guida del partito, ed è diventato un One Nation Conservative, come David Cameron, un leader che vuole unire la nazione.
E il partito laburista?
È stata una sconfitta tremenda, ma ci saranno moltissimi, sia membri del partito che capi, i quali negheranno che la colpa è stata di Jeremy Corbyn e se la prenderanno con la questione Brexit. La risposta, quindi, non sarà costruttiva e si aprirà un lungo periodo di conflitto, all’interno del partito, sulle ragioni di questa situazione. Si tratta della terza sconfitta elettorale consecutiva per il partito laburista, dal 2010, dopo il fallimento della strategia “New Labour” di Gordon Brown, dopo lo spostamento a sinistra di Ed Miliband e oggi, con l’approccio radicale di Jeremy Corbyn. Sono state provate tutte le strade della sinistra e non è chiaro quale sarà la via d’uscita. Ci attendono, quasi sicuramente, dieci anni di potere conservatore e nei primi cinque il Labour sarà impegnato a combattere se stesso anziché Boris Johnson.
La comunità protestante, in Nord Irlanda, si sente, in questo momento, tradita dal primo ministro che, nel suo accordo negoziato con la Ue, ha lasciato questa regione unita al resto d’Irlanda. Si tratta di una situazione pericolosa?
È chiaro che non ci sarà un rinnovato periodo di stabilità. Ci saranno problemi perché le forze repubblicane, che vogliono un’Irlanda unita, si sentiranno incoraggiate, dal momento che i due partiti nazionalisti, Sinn Fein e Sdlp, hanno conquistato voti. Il morale, invece, sarà basso tra i sostenitori del partito unionista Democratic Unionist Party che ha perso in queste elezioni. Esiste il rischio che alcune formazioni protestanti estreme decidano di ritornare alla violenza e agli attentati.