Solidarietà

Terremoto in Albania: negli “angoli amichevoli” di Shis e Avsi i bambini tornano a sorridere. A Lezha ‘no’ degli hotel a 45 famiglie rom

Entrati a pieno regime gli “angoli amichevoli” allestiti per i bambini negli hotel degli sfollati. Con questa iniziativa l’ong “Shis”, partner albanese dell’italiana Avsi, cerca di regalare momenti di gioco e di formazione ai più piccoli tra i terremotati del sisma del 26 novembre. A Lezha l’ong è impegnata a dare aiuto a 45 famiglie rom cui è stato rifiutato l’alloggio negli hotel e costrette in tenda

Sono operativi e funzionano per oltre 10 ore al giorno i quattro “Punti gioco” o “angoli amichevoli” allestiti per i bambini colpiti dal terremoto del 26 novembre scorso. È, infatti, ai più piccoli che sin dalle prime ore del sisma si sta rivolgendo l’attenzione dell’ong “Shis” (Associazione internazionale per la solidarietà), partner albanese dell’italiana Avsi. Le due organizzazioni non governative sono legate da un rapporto di collaborazione ventennale nel campo dell’aiuto ai bambini grazie a numerosi progetti in ambito educativo e nove centri diurni che in tutto si prendono cura di circa 640 minorenni.

Gli “angoli amichevoli”. “Dei quattro angoli amichevoli – spiega al Sir Roberta Profka, psicologa e direttrice di ‘Shis’ – due sono a Durazzo, uno a Lezha e uno a Tirana, nel quartiere periferico di Kombinat, tra i più colpiti dal sisma. Agiamo di concerto con i municipi locali e con le istituzioni governative per evitare sovrapposizioni”. Dopo una fase di stretta emergenza l’obiettivo adesso è quello di “far tornare un po’ di sorriso nei volti dei bambini e recuperare tempi di vita normale anche per le loro famiglie”, afferma la direttrice. A partire dalla scuola. “Le lezioni scolastiche sono riprese e, laddove le scuole sono inagibili, per esempio a Durazzo, negli hotel che ospitano gli sfollati sono state allestite delle aule dove gli insegnanti tengono le lezioni”.

L’azione educativa viene affiancata da Shis grazie agli “angoli amichevoli” dove, spiega Profka, “con i nostri operatori e volontari teniamo il doposcuola e organizziamo tempi di gioco e di svago. Ora che la situazione si è un po’ calmata e la gente non è più nel panico, è possibile anche dialogare meglio con le famiglie e le persone per ascoltare i loro bisogni e organizzare le risposte. Non è facile perché la gente sa bene che non ha più nulla, ha la casa distrutta che dovrà essere ricostruita ma non sa quando. Molte famiglie, inoltre, hanno ripreso il lavoro così i nostri animatori e assistenti sociali prendono in carico i bambini animando le attività post-scolastiche”.

Rom discriminati. Per tanti terremotati che, seppur lentamente, stanno riprendendo una parvenza di vita normale ce ne sono altri che restano nelle tende e in rifugi di fortuna “vittime di discriminazione” perché di etnia rom. Accade a Lezha, nel nord-ovest del Paese, non lontano dalla costa adriatica. “Qui – dice Profka – la situazione resta preoccupante soprattutto per 45 famiglie rom che ancora vivono in tenda perché hanno avuto problemi di accoglienza in alcuni degli alberghi messi a disposizione dallo Stato. Purtroppo siamo davanti ad una vera e propria discriminazione nei loro confronti. Speriamo che la situazione possa rientrare presto perché tutte queste famiglie vivono in condizioni estremamente difficili”. Da un sopralluogo del team di Shis, infatti, è emerso che “in una tenda vivono insieme circa 30 rom, molti sono bambini piccoli esposti al freddo e alle intemperie”.

Miglior sorte hanno avuto invece altre famiglie rom che, spiega la psicologa, “sono state sistemate nella palestra della scuola. Ora stiamo cercando di reperire delle tende, speriamo che la Caritas possa venirci incontro. Abbiamo anche attivato una raccolta di cibo e coperte. Un primo camion è partito in queste ore e presto acquisteremo degli abiti nuovi da consegnare. Ma la speranza è che anche queste 45 famiglie possano presto essere alloggiate negli alberghi”. Nel frattempo Shis e Avsi proseguono nelle loro attività di monitoraggio a Lezha e nei villaggi circostanti perché, fanno sapere le ong, “ci sono zone dove gli aiuti sono arrivati con difficoltà. Sappiamo di persone che non hanno un riparo decente e che passano molto tempo all’addiaccio”.