Economia

Soldi pubblici per Popolare Bari, un storia già vista

Altre banche non comprano (e se lo fanno al costo di un euro) e anzi vogliono ridurre gli sportelli. Elemento comune ad altre crisi è il dubbio di scarso controllo esterno della Banca d’Italia, sotto accusa da più parti per interventi ritenuti tardivi a fronte di numeri in evidente deterioramento. La Banca Centrale replica rivelando di avere inviato lettere esplicite ai Governi già dal febbraio scorso. Popolare Bari ha sempre goduto di amicizie politiche. Si parte con il riavvio di una Commissione parlamentare d’inchiesta, la magistratura è già all’opera e si farà sentire, la Ue tiene d’occhio che gli aiuti pubblici siano temporanei. Una storia che si ripete. Non per questo meno grave

Le crisi bancarie si assomigliano nelle cause, non sono tutte uguali nelle soluzioni. Anche il commissariamento d’urgenza della Banca Popolare di Bari richiederà un intervento con denaro pubblico per 900 milioni (ma è una prima stima), così da garantire continuità all’istituto ed evitare crisi di panico. Per dare tempo a una idea di rilancio. L’ipotesi virtuosa è di far nascere un banca partner delle Pmi, centrata sugli investimenti per il Sud capace di accompagnare le migliori imprese locali in un mix di finanziamenti pubblici e privati. Dovrebbe intervenire il Mediocredito Centrale (Mcc) controllato da Invitalia (Agenzia pubblica per gli investimenti). Dovrebbe aggregare altri istituti e ridare una spalla creditizia alle imprese meridionali che hanno visto sparire gli istituti di matrice locale. Obiettivo giusto quanto ambizioso, si vedrà.

La cronaca per ora è fatta di protezione dei correntisti, obbligazionisti e, si spera, anche degli azionisti che sono ben 70mila. Popolare di Bari non è piccola: i clienti sono 600mila, 100mila le imprese. Le filiali sono 353, circa 3mila i dipendenti, due piccole banche controllate a Orvieto e Teramo-Pescara. La clientela ha depositato circa 8 miliardi di cui 4,5 sotto i centomila euro a correntista e quindi totalmente protetti.

La banca perdeva molto, circa 420 milioni solo lo scorso anno. I crediti non più esigibili erano uno su cinque, segnale di crisi dell’economia locale ma anche di una scarsa attenzione nel concedere i prestiti. Ed è il primo elemento comune a tante crisi bancarie: pur di fare impieghi (cioè prestiti con relativi interessi) gli istituti selezionano male, sono sensibili a pressioni di vario tipo, distinguono poco fra aziende con prospettive e altre decotte. Si aggiungono personalismi, amici di amici e scarsa dialettica interna. Come in Mps, Carige e nelle banche venete, non hanno funzionato i controlli interni. In questo caso è una popolare (quindi con un voto per testa indipendentemente dalle quote detenute) controllata di fatto dalla famiglia Jacobini, tre generazioni al vertice. L’attuale presidente non è uno Jacobini ma è legato da rapporti familiari. Le azioni non erano quotate in Borsa (altro elemento comune con la crisi di alcune banche di medio taglio – Marche, Ferrara, Chieti, VenetoBanca, Vicenza – mentre Etruria, Carige e prima Mps lo erano) e quindi il loro prezzo era fissato dal Cda sulla base del patrimonio della banca. Più recentemente i titoli sono stati scambiati su un sotto-mercato (Hi-Mtf) con prezzi cedenti. Titoli non quotati o illiquidi (cioè poco scambiati) non sono il meglio per i risparmiatori. Si fatica a venderli rapidamente quando si affaccia la crisi. Gli investitori istituzionali, quelli che sarebbero utili per ricapitalizzare una banca che non sta in piedi, non investono in titoli non quotati. Ora la banca diventerà una Spa (società per azioni), con una grande proprietario pubblico e il supporto delle altre banche italiane chiamate al capezzale attraverso Fondi sostegno. Il più importante, per i risparmiatori, è il Fondo tutela dei depositi (Fitd) che garantisce i depositi.

Per gli azionisti il rischio di totale azzeramento è forte, come è avvenuto per Carige, Mps, Etruria (quotate) e le altre. Meccanismi di ristoro sono prevedibili laddove si dimostrasse il dolo della banca nel confondere chi aveva azioni. Trovare soci privati – per quanto possa sembrare strano – non è facile perché gli istituti di credito ora rendono poco. L’economia è asfittica.

Altre banche non comprano (e se lo fanno al costo di un euro) e anzi vogliono ridurre gli sportelli. Elemento comune ad altre crisi è il dubbio di scarso controllo esterno della Banca d’Italia, sotto accusa da più parti per interventi ritenuti tardivi a fronte di numeri in evidente deterioramento. La Banca Centrale replica rivelando di avere inviato lettere esplicite ai Governi già dal febbraio scorso. Popolare Bari ha sempre goduto di amicizie politiche. Si parte con il riavvio di una Commissione parlamentare d’inchiesta, la magistratura è già all’opera e si farà sentire, la Ue tiene d’occhio che gli aiuti pubblici siano temporanei. Una storia che si ripete. Non per questo meno grave.