La messa in stato di accusa
Oggi il voto alla Camera dei rappresentanti per la procedura di impeachment al presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Si preannuncia un lungo dibattito, con dichiarazioni di voto contrastanti e la difesa a tutto campo da parte dell’accusato, anche con una lettera durissima alla portavoce della Camera dei rappresentanti Nancy Pelosi. Intanto, alcuni consulenti repubblicani hanno lanciato il progetto Lincoln per salvare il partito.
(da New York) “Crociata”, “abuso di potere incostituzionale e senza precedenti”, “guerra aperta alla democrazia”, “vedi la democrazia come il tuo nemico”. Sono aspre e dure le espressioni che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, usa nella lettera di sei pagine scritta, ieri alla vigilia del voto sull’impeachment, alla portavoce della Camera dei rappresentanti Nancy Pelosi. E’ una lunga lista di lamentele e attacchi che mostrano il disappunto del presidente per la messa in stato d’accusa. Trump da oggi diventerà il quarto presidente ad aver subito quest’onta, dopo Jackson, Nixon, Clinton: una macchia che resterà anche nella storia della sua famiglia e che in questi giorni, a detta dei suoi collaboratori, è stata una delle preoccupazioni presidenziali più pressanti, come ha espresso chiaramente anche in alcuni passaggi della lettera.
L’accusa Oggi la Camera dei rappresentanti voterà i due articoli con i capi d’accusa stilati dal Comitato giudiziario: abuso di potere e ostruzione al Congresso. Le nove pagine sul procedimento spiegano che Trump “ha sollecitato attraverso la corruzione, l’intervento di un Paese straniero nella campagna elettorale” poiché in una telefonata e un successivo incontro a Washington ha chiesto al presidente ucraino Zelensky di avviare delle indagini su Joe Biden, candidato democratico alle presidenziali del 2020 e sul figlio, consulente per una compagnia di gas ucraino. Per forzare l’indagine, secondo la ricostruzione del Comitato e dei testimoni chiamati in causa, Trump avrebbe congelato i 391 milioni di fondi destinati alla sicurezza dell’Ucraina. “Il presidente Trump ha abusato dei poteri della presidenza ignorando e danneggiando la sicurezza nazionale e altri interessi nazionali vitali per ottenere un indebito vantaggio politico personale – recita il primo articolo -. Ha anche tradito la nazione abusando del suo ufficio per arruolare un potere straniero nel corrompere le elezioni democratiche”. Nel secondo invece si accusa il presidente di aver intrapreso una “sfida senza precedenti, categorica e indiscriminata” ostacolando la Camera nelle sue indagini poichè ha ordinato ai funzionari del governo di non presentarsi e si è rifiutato di consegnare i documenti originali relativi alla telefonata e agli incontri con membri del governo ucraino.
La difesa L’accorata lettera del presidente, densa di accuse e di insulti non tanto velati, punta a screditare i democratici affermando che vogliono sovvertire il voto del 2016 e mettere in crisi la democrazia. Tuttavia, se Trump venisse rimosso, la presidenza passerebbe a Mike Pence, l’attuale vicepresidente repubblicano e quindi l’esisto delle urne sarebbe rispettato poiché non verrebbero indette nuove elezioni. Parlando della telefonata con il presidente ucraino, Trump spiega di parlare sempre al plurale e cioè a nome del Paese, prova che non ci sono interessi personali a riguardo, ma la trascrizione della telefonata non è stata subito rilasciata e il Comitato giudiziario ha fatto non poca fatica per ottenerla. Nella missiva il presidente imputa ai democratici la stesura del rapporto Muller sulle inferenze russe nella campagna elettorale dimenticando che è stato il vice procuratore generale Rod Rosenstein ad affidare le indagini all’ex capo dell’Fbi e accusa di illegittimità la messa in stato d’accusa, ignorando che la Costituzione prevede questo procedimento come esercizio di controllo dell’operato del presidente e che non viene determinato da una sola Camera ma dall’intero congresso.
I democratici e i repubblicani. Nelle dichiarazioni di voto espresse ieri, i democratici voteranno a favore dell’impeachment, anche se alcuni di loro si asterranno e qualcuno voterà contro, proprio perché eletto in collegi dove Trump ha stravinto e non vogliono alienarsi le simpatie del territorio. I repubblicani voteranno un no compatto: almeno questo è l’auspicio del presidente e del partito anche se non sono mancati malumori interni, poiché non pochi hanno criticato e giudicato inappropriata la telefonata di Trump al presidente ucraino.
Tuttavia non vi sono abbastanza evidenze per un impeachment che porterebbe alla rimozione dall’ufficio.
Intanto alcuni consulenti repubblicani che hanno lavorato con il presidente Bush e con senatori e deputati durante le campagne elettorali hanno lanciato il progetto Lincoln per salvare il partito e i suoi valori contro uomini del Congresso che si spacciano per repubblicani ma che in realtà hanno abbracciato il trumpismo, definito “una fede vuota guidata da un falso profeta”.
Dopo il voto. Se la Camera si esprime in maniera favorevole all’impeachment, come ci si aspetta, la decisione verrà trasmessa al Senato che si trasforma in una corte, dove i 100 senatori fungono da giurati. La Camera nominerà tra i suoi rappresentanti coloro che svolgeranno il ruolo di pubblico ministero, mentre la Casa Bianca potrà presentare la sua difesa. Domenica il leader democratico al Senato ha scritto una lunga lettera al suo corrispondente repubblicano chiedendo che i quattro funzionari che si sono rifiutati di collaborare con la Camera, siano ascoltati in Senato e tra questi i più attesi sono il capo dello staff della Casa Bianca Mick Mulvaney e l’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton. Trump, da parte sua, vorrebbe chiamare come testimone il figlio di Joe Biden, suo rivale alle elezioni del 2020 e ha fatto sapere che non gli dispiacerebbe avere un lungo processo per dimostrare la sua innocenza, cosa che i senatori repubblicani non vorrebbero per potersi concentrare sulla nuova corsa elettorale.