Corridoi umanitari
“I corridoi umanitari sono un modello vincente. Permettono a persone che provengono da situazione di grave vulnerabilità, di poter cominciare una nuova vita, costruirsi un futuro e di integrarsi. È un progetto italiano e come tale fa emergere un’Italia che aiuta e protegge la vita umana, ovunque si trovi, soprattutto se in condizione di vulnerabilità”. Ne è convinta Emanuela Claudia Del Re, viceministro per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, che al Sir annuncia l’intenzione di proporli all’Ue come una “buona pratica”. Tra i progetti futuri aprire corridoi umanitari per 50.000 persone da e verso la Libia per un periodo di due anni. E in Libia si è recato, il 17 dicembre il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, per rilanciare l’azione diplomatica in vista di un accordo negoziale che ponga fine al conflitto in corso tra il generale Haftar e il premier al-Sarraj
Vice ministro, perché la convincono così tanto i corridoi umanitari?
Nell’attuale situazione contemporanea, in cui il fenomeno migratorio viene iper-semplificato e se ne accentuano soltanto aspetti marginali senza conoscerlo in fondo, i corridoi umanitari propongono una strategia che va al cuore più profondo del problema offrendo una prospettiva. La questione migratoria si presenta su molti livelli e con molte diversità al suo interno, con storie anch’esse estremamente diversificate e quindi va affrontata con la complessità che merita. I corridoi umanitari sono un modello vincente. Permettono a persone che provengono da situazione di grave vulnerabilità, di poter cominciare una nuova vita, costruirsi un futuro e di integrarsi.
È un progetto italiano e come tale fa emergere un’Italia che aiuta e protegge la vita umana,
ovunque si trovi, soprattutto se in condizione di vulnerabilità. Un’Italia ancorata ai grandi valori della nostra Costituzione.
Chi sono i protagonisti di questo progetto?
Altro punto di forza dei corridoi umanitari è la collaborazione attiva tra molti attori: da una parte le istituzioni che sono responsabili per la buona conduzione delle pratiche; dall’altra una società civile che si muove, organizza, crea opportunità.
Non è secondario il fatto che a muoversi in prima linea siano poi le organizzazioni religiose e le Chiese perché sono una espressione della società civile che fa emergere un senso di cittadinanza perché va oltre il loro ambito di interesse e dona loro in cambio un respiro universale.
Perché lo avete proposto all’Unione europea?
La migrazione viene presentata da alcuni come una minaccia di invasione e da altri come un fattore che mette a rischio la vita di troppe persone ed è causa di morte. Tra questi due estremi si pongono i corridoi umanitari. Si tratta di una buona pratica. Se diventasse un meccanismo europeo, ci potrebbe essere una unità di intenti in un contesto in cui ci sono valori comuni ma le declinazioni paese per paese devono essere armonizzate. C’è un altro aspetto. Il progetto oggi è sostenuto a livello economico interamente dalle organizzazioni della società civile. Se diventasse modello europeo, si potrebbe pensare ad una linea di budget con dei fondi specifici che possano rendere più agile il percorso, forse aumentare anche i numeri.
Cosa intende esattamente per “meccanismo europeo”?
Ci sono certamente aspetti tecnici che abbiamo approfondito a Bruxelles, perché nonostante ci sia un un accordo generalizzato previsto dall’Ue, ci sono poi le normative dei singoli Stati membri. Bisogna quindi trovare formule che armonizzano questi approcci. Gli aspetti tecnici sono in discussione e devono essere affrontati con attenzione. Ma sono fiduciosa che una volta verificata la volontà politica – e per adesso abbiamo avuto il sostegno del presidente e del vice presidente del Parlamento europeo e di tanti gruppi politici – si possono superare gli aspetti tecnici e far diventare i corridoi umanitari una prassi europea consolidata.
A settembre, su sua iniziativa, sono arrivati a Roma 4 bambini malati di leucemia da Bengasi, nella Cirenaica e sono stati trasferiti al Bambino Gesù, dove verranno curati. Ne arriveranno altri per un totale di 14 bambini con le loro famiglie.
Non mi tiro mai indietro di fronte a sfide che minacciano le persone. Mi fu segnalato questo problema dei bambini leucemici che purtroppo sono numerosi in Libia e mi feci latrice in Italia di questa questione che è umanitaria, al di sopra di qualunque fazione, appartenenza o scelta politica. Abbiamo lavorato a lungo per realizzare questo trasferimento. Anche in tempi bui, l’Italia diventa esempio di un Paese impegnato in prima linea che non si tira indietro.
In un evento al Parlamento europeo tenutosi il 10 dicembre a Bruxelles la Conferenza delle Chiese in Europa (Cec) e della Commissione delle Chiese per i migranti in Europa (Ccme) – la Federazione delle Chiese protestanti in Italia (Fcei) e la Comunità di Sant’Egidio – hanno lanciato la proposta di aprire altri corridoi umanitari per 50.000 persone da e verso la Libia per un periodo di due anni…
I corridoi umanitari sono un progetto molto vasto perché certamente parte da un principio fondamentale della vulnerabilità. Partono quindi attualmente da diversi Paesi. Per quanto riguarda la Libia, per noi è un punto fondamentale.
Siamo il paese più presente sul territorio anche al di là degli interessi politici, avendo condotto azioni umanitarie da sempre e siamo il paese, unico al mondo, che effettua evacuazioni dalla Libia che fanno parte delle strategie fondamentali messe in atto da tempo in collaborazione con l’Unchr. Esse costituiscono un vanto perché risolvono il dilemma delle condizioni della vita dei migranti in quel Paese.
Il ministro Di Maio si è recato il 17 dicembre in Libia dove ha incontrato tutti i principali attori coinvolti nella crisi del Paese nordafricano, tra cui anche il generale Khalifa Haftar, rivale sul campo del premier del governo di unità nazionale, sostenuto dall’Onu e quindi anche dall’Italia, Fayez al-Sarraj. È un tentativo del nostro Paese di riguadagnare peso politico all’interno del dossier Libia, dopo un periodo di indebolimento?
Per la nostra azione costante e per le nostre azioni sul terreno che non si sono mai interrotte, parlare di un indebolimento italiano in Libia non credo sia giusto. La visita è molto importante poiché si inserisce nel solco delle nostre attività volte alla stabilizzazione del Paese. Certamente in questo momento così drammatico, con il conflitto in atto, sono emersi altri attori che probabilmente erano dormienti o forse non così espliciti. La situazione dunque è sempre più complessa e il rischio che diventi irreparabile è concreto. Incontrare Fayez al-Sarraj, premier del governo di unità nazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite e il generale Khalifa Haftar è imprescindibile perché sono i due poli fondamentali sul campo. Da parte nostra abbiamo sempre mantenuto
equilibrio e dialogo aperto: questa è la nostra forza”.
La nomina, annunciata da Di Maio, di un inviato speciale per la Libia, va in questa direzione?
L’inviato sarà un braccio operativo con il compito di garantire sempre maggiore dialogo e una costante interlocuzione in Libia.
Quali sono i principi su cui si basa l’azione italiana in Libia?
La nostra azione si basa su l’unità, la sovranità e l’integrità territoriale della Libia. Riaffermiamo la contrarietà ad una soluzione militare. È inaccettabile. Il nostro approccio militare ai conflitti, in genere è di peace keeping, di peace building e di lavoro al fianco della società civile. Auspichiamo un cessate-il-fuoco e la fine di interferenze esterne che hanno finalità non chiare. In particolare mi riferisco alla violazione dell’embargo delle milizie straniere”.
Come giudica l’inserimento di Turchia e Russia nello scacchiere libico e il loro attivismo a sostegno rispettivamente di Serraj e di Haftar?
Su Erdogan e Putin ci siamo già espressi e abbiamo parlato di approccio assolutamente inaccettabile. La Libia deve esercitare una ownership assoluta del suo processo politico in vista di qualcosa di duraturo e sostenibile a guida Onu. Va evitato, dunque, ogni rischio di guerra civile che comporterebbe una gravissima tragedia umanitaria. È necessario adoperarsi per una de-escalation del conflitto, in vista della Conferenza di Berlino (prevista per inizio 2020, ndr.). Riuscire, in un conflitto, a mettere seduti intorno a un tavolo tutta una serie di attori fondamentali è un obiettivo importante”.
L’Italia ha intenzione di modificare il Memorandum of understanding siglato nel 2017 con la Libia per implementarlo sul versante del rispetto dei diritti umani. Quelli che vengono definiti “centri di accoglienza” libici, in realtà si sono rivelati vere e proprie strutture detentive dove i migranti vengono tenuti in condizioni drammatiche e sottoposti a torture…
La nostra ambizione è di modificarlo per fare in modo che ci siano avanzamenti anche giuridici in tema di diritti umani. Su questo versante si registra una forte maturazione coniugata a un grande lavoro condotto non solo in ambito umanitario ma anche politico, amministrativo e giuridico. Recentemente ho tenuto una riunione di alti funzionari sulla Libia dalla quale sono scaturite tutta una serie di proposte e di idee. Erano presenti anche tutte le ong competenti, che lavorano nel paese nordafricano, e le organizzazioni internazionali.
Circa i diritti umani è emerso che si devono trovare dei meccanismi per poter operare meglio e fare in modo che l’Unhcr abbia un accesso più agile nei campi profughi e che possa intervenire concretamente per proteggere le persone.
È di ieri la notizia che l’Italia è stata denunciata al Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite per i respingimenti di migranti in Libia. L’azione è stata avviata dal Global Legal Action Network (Glan), per conto di un uomo sud-sudanese riportato con la forza, insieme ad altri 90 migranti, in un porto libico dopo essere stato salvato da un mercantile nel Mediterraneo. Una volta a terra furono picchiati, feriti e rinchiusi di nuovo nei centri di detenzione dall’esercito libico…
È un tema che deve essere sviscerato e deve diventare un punto di riferimento globale – situazioni così non ci sono solo in Libia – e credo sia bene rifletterci. L’azione umanitaria dell’Italia, in questo campo, è molto significativa e di questo dobbiamo essere felici.